In queste note ci occupiamo soprattutto della cultura arcaica della Mesopotamia, vale a dire delle tradizioni sumero-accadiche, piuttosto che di quelle assiro-babilonesi. Una documentazione approfondita delle sacralità sumerica ancora non esiste, secondo quanto dichiarava anni fa G.R. Castellino1.
La situazione non ci pare sia cambiata sino a tutt’oggi. Il Kramer ne ha studiato la mitologia, altri studiosi come il Rinaldi hanno preso in considerazione solo la letteratura religiosa; rispetto a questo quadro frammentario si è differenziato soltanto il Jean (La religion sumérienne, Parigi 1931), che tuttavia ha sfruttato nella propria analisi soprattutto i testi storico-amministrativi, sfiorando solamente quelli letterario-religiosi e mitologici. Un’esposizione rapida ne ha dato anche il Jacobsen nel Vol. I dell’ Enciclopedia Britannica , in cui viene espresso il punto di vista dei varî settori ed ambienti della regione mesopotamica2.
Non essendo possibile ricostruire l’ambiente religioso dal vivo, trattandosi di una religione ormai scomparsa, si è trattato per gli studiosi moderni di pigliare in esame testi di provenienza archeologica: 1) di carattere sacrale (Inni agli Dei, scritti magici); 2) epico (Epopea di Gilgamesh, di Enmèrkar e di Lugalbànda); 3) sapienziale; 4) votivo; 5) lamentativo (dovuti a distruzioni urbane o calamitose); 6) epigrafico, in genere iscrizioni pre-sargoniche (Stele degli Avvoltoî, Coni di Entemena, scritti di Urukàgina, iscrizioni di Utuhegal); 7) formule di datazione (rifacentisi ad avveni-menti religiosi)3.
Si può immaginare che la popolazione sumerica avesse in comune fin dall’epoca della sua costituzione un pantheon formato da tre divinità principali, com’è avvenuto presso altre sacre tradizioni euro- asiatiche: fra Greci, Latini, Celti, Traci, Persiani ed Indiani, tanto per fare degli esempî4.
Delle tre deità la prima e più importante era senza dubbio il dio supremo An. Cfr. con i corrispettivi I-n-us e Our-an-ós rispettivamente nella tradizione latina ed in quella greca, nonché con l’ Y-m-ir norrenico, lo Y-am-al Var-un-a indiano e lo Y-im-al A-hur-a persiano. Ed, ancora, col palestinese Y-am e l’ebraico Y-ahw-eh .
Le analogie filologiche fra il nome primigenio del Dio Padre dei Sumeri e quello altrettanto vetusto del Signore delle Origini presso i Latini sono state postulate dal Semerano5 in un testo mirante a ricercare le parentele religiose nell’ambito del mondo eurasiatico, attraverso una comparazione etimologica fra il lessico europeo e quello sumerico e semitico.
Del resto altri autori hanno segnalato le affinità mitologiche e linguistiche tra An/ Anu ed Ouranós. intendendo entrambe le figure in qualità di Signori dell’Ordine Cosmico, in senso primevo. L’uno e l’altro sono infatti capostipiti delle ‘Generazioni’ divine rispettive, in altre parole – per usare il linguaggio di Eliade6 – degli dei ôtiôsi.
Le altre due divinità, alle quali sopra accennavamo, sono En-lil ed En-ki/ Ea , per i quali è possibile rinvenire parimenti delle corrispondenze con la mitologia greco-latina ed indo-iranica7. Si vedano i nomi di Crono e di Zeus fra i Greci e quelli di Saturno e di Giove fra i Latini; senza dubbio loro omologhi, nonostante certe reticenze in proposito da parte di alcuni studiosi.
In ambiente hindu abbiamo divinità analoghe sotto i nomi, rispettivamente, di Rudra-Çiva e di Vishnu e susseguenti al ciclo – od ai cicli, tenendo presente lo schema quinario – di Yama e Varuna.
Attraverso una comparazione dell’area geografica mesopotamica con l’area geografica di lingua indoeuropea delle regioni adiacenti, ad est come ad ovest, è possibile dedurre che anche le sacre tradizioni sumero-accadiche – così come più tardi quelle assiro-babilonesi – concepiscano la natura del pantheon divino nei termini di una serie di divinità legate l’una all’altra attraverso un rapporto d’identità nella molteplicità ed insieme di figliolanza simbolica.
Non abbiamo alcuna ragione, infatti, per dire che trattavasi di una religione politeistica. Anzi è molto facile che il paese di Sumer8 concepisse le proprie deità al modo dell’India, secondo una visione cioè enoteistica; tanto per citare una nota espressione storico-religiosa applicata solitamente al mondo paleo- indiano ed adattarla, ci si permetta, ad un mondo a questo visibilmente apparentato. In siffatta visione è probabile che ciascun dio, così com’è avvenuto pressappoco anche fra gl’Indoeuropei, avesse una propria funzionalità cosmica in rapporto ad un determinato simbolo.
I popoli della Mesopotamia dovettero conoscere sin dai tempi preistorici la simbologia astrale, poiché essa appare già visibile ed in forma persino elaborata nelle stesse civiltà pre-sumeriche del VI e del V mill. a.C.; vedi le Culture di Tell Hassuna e Samarra nel centro della pianura mesopotamica, tra i villaggî, ovvero la Cultura di Tell Halaf al nord e di ‘Obeid al sud.
D’altronde, non meno che nella mitologia greco-latina od in quella indo-iranica, nella mitologia sumerica il tema cosmologico di fondo è la concezione ciclica del Tempo; nel senso di una decadenza progressiva da un’età considerata paradisiaca, come attesta il Poema di Enmerkar e il signore di Aratta .
In tale poema si fa menzione di un illud tempus in cui “non vi erano serpenti, né scorpioni”. Non vi era né paura né terrore e l’uomo non conosceva allora rivali. Era quello il tempo in cui“ l’Universo intero, i popoli all’unisono rendevano omaggio ad En-lil (il Saturno-Crono sumerico) in una sola lingua”9. Non è difficile a tal proposito rifarsi all’Età Aurea cantata da Esiodo e celebrata da Platone, da Ovidio e da Virgilio.
Anche nella Genesi (xi. 1-9) si afferma d’altra parte che prima dell’avvento del gigante Nimrod (da confrontare col Nimurta assiro-babilonese), costruttore della Torre di Babele (ossia – fuor di metafora – delle prime civiltà protostoriche mesopotamiche)10, i popoli della terra parlassero un unico linguaggio.
Nella mitologia indiana, parallelamente al motivo prettamente camito-semitico della confusione delle lingue (vale a dire dell’individuazione delle culture nazionali – o meglio regionali – dopo il sorgere dei primi stati territoriali, con la conseguente dispersione dei simboli rispetto all’originaria unitarietà di tutte le tradizioni, secondo quanto ci provano archeologicamente i dati relativi all’epoca mesolitica e tardo-paleolitica), ricorre il tema tipicamente ario della confusione delle Caste. Il tema è messo in relazione col principiare dell’odiata Età del Ferro (il cd. Kaliyuga, secondo la denominazione locale). La primigenia unità culturale sottintende, tanto in Mesopotamia come altrove, sia una primeva conformità razziale11 sia il culto di un’unica Divinità12.
Se è vero dunque che tutti un tempo adoravano En-lil , cioè Crono (il Signore del Tempo), ecco spiegato tautologicamente il favore particolare goduto presso gli antichi dalla conoscenza dei fenomeni e dei moti astrali, donde dipendono il calendario e gl’influssi cosmici. A questo proposito l’ammirazione nutrita nell’Antichità per i cd. ‘Caldei’ è troppo nota per dover essere citata.
Vi è d’altronde chi13 si è rifatto direttamente alla Mesopotamia per spiegare la diffusione dei miti astrali, fatto che avrebbe condotto in tempi storici alla formulazione di dottrine quali lo Zurvanismo in Iran, il Klavda in India e la filosofia ionica del perpetuo Divenire in Grecia; da Eraclito a tutti i discepoli e gli oppositori del celebre filososo di Efeso, fino a Platone e gli Stoici14.
Una visione tanto unilaterale è eccessiva. Tuttavia non possono essere negati dei contatti reciproci a livello speculativo, derivanti certamente da un fondo preistorico comune di carattere shamanico ed assai diffuso territorialmente, dall’Europa all’Asia.
Nel quadro delle influenze vicendevoli rientrano le idee fatalistiche del mondo anatolico e di quello arabo preislamico, i culti egizio-ellenistici di Aiôn e di Bes dalle Quattro Ali, figure queste entrambe equiparabili a Krónos.
Che la Mesopotamia abbia comunque svolto nell’intero ambiente vicino e medio orientale un ruolo di preminenza è indubbio. Basterà ricordare l’immensa influenza accreditata nel mondo greco-romano alle speculazioni astrali delle Babylôniaká di Berosso, sacerdote di Bêl-Enlil, alias El-Krónos secondo la denominazione di Filone (corrispondenti rispettivamente ad Apollo-Crono ed Elio-Crono)15.
Va notato inoltre che in India, a differenza che in Grecia, non è mai stata concepita una netta opposizione tra il principio dell’Essere e quello del Divenire16; ed è così, probabilmente, che deve essere avvenuto parimenti nella Mesopotamia arcaica.
Oltre all’unitarietà delle tradizioni e delle fedi, il testo succitato dell’eroe Enmerkar accenna all’esistenza primordiale di un solo linguaggio umano, che potremmo definire in termini biblici la ‘lingua di Adamo’; tale asserzione trova conferma nell’arte paleolitica di tutti i continenti, rispondente a canoni e schemi raffigurativi assolutamente universali17.
Come già rilevato, le leggende bibliche sui tempi pre-diluviani tracciano un quadro del tutto consimile.
Nella parte di testo successiva, quel che resta è così frammentario che non è possibile dedurre quale fu l’effetto dell’avvento di En-ki18 sugli uomini; ma il Kramer giustamente e coerentemente suggerisce che forse il nuovo dio – come avviene presso altre mitologie similari – abbia suscitato tra gli umani i primi conflitti, determinando la perdita della pace originaria. La storia biblica di Caino e Abele docet al riguardo.
Forse, suggerisce ancora il Kramer, è attribuita ivi ad En-ki la malvagia paternità degli atti che hanno condotto l’umanità alla confusione delle lingue (cfr. i vv. 10-2).
Come sottolinea il Kramer, vi è una differenza tuttavia fra i miti ebraici e quelli sumeri, differenza che da parte nostra sintetizzeremmo a questa maniera: i primi scorgono eticamente nelle vicende umane – dalle origini in poi – il prodotto di una decadenza provocata da una punizione divina; mentre i secondi teorizzano meno moralisticamente che il divenire della storia è in realtà un processo di decadenza cosmica provocato da conflitti e gelosie celesti od, in altre parole, da evenienze divine provvidenziali alle quali non è possibile sottrarsi da parte dell’umanità.
Per un verso troviamo così il susseguirsi di ‘Generazioni umane’ sempre più orgogliose e prepotenti, per un altro il susseguirsi di ‘Generazioni divine’ con analoghi caratteri.
Ma non è detto che gli stessi temi non possano trovarsi amalgamati, come avviene in Grecia, tanto in Esiodo quanto in Platone; od in India, ove vi un esatto parallelo tra le une e le altre.
La fine dell’Età Aurea è dunque concepita da parte dei Sumeri – fa ancora notare il Kramer – quale maleficio attuato dal dio En-ki, ciò collegandosi allegoricamente con la vicenda raccontata nel testo, in cui si tramanda che Enmerkar, signore di Uruk (sull’Eufrate), avendo deciso d’imporre la propria sovranità alla città iranica di Aratta, aveva inviato un nunzio al signore della città nemica (della quale invidiava la ricchezza) per spingerlo a consegnare oro, argento, lapislazzuli ed altre pietre preziose. Nonché a costruire l’ Abzu, un tempio dedicato ad En-ki ; altrimenti, la città iranica sarebbe stata messa a ferro e a fuoco.
Quanto ci attestano i miti è inequivocabile e non può essere manipolato a nostro uso e consumo. Tanto più che anche il Poema della Creazione accadico narra di tempi primordiali, nei quali agli Dei non erano ancora stati assegnati dei nomi e neppure era stato fissato il loro shimtu; vale a dire la loro funzione, il loro compito divino19.
Veniamo ora ad un’analisi delle singole figure divine di quella che erroneamente è stata definita una “Triade cosmica”. Mentre più propriamente dovrebbe essere considerata una rappresentazione triforme (scr. Trimûrti) della Divinità. Infatti, non essendovi alcuna figura femminile in essa che possa essere considerata – unitamente ad un termine maschile opponentesi alla stessa – una Diade, tanto meno la medesima rappresentazione potrebbe essere ritenuta una Triade; dato che è formata da tre elementi di natura maschile. Piuttosto dovremmo cercare una comparazione fra questa terna divina simbolica e quella indiana corrispondente, formata da Brahmâ-Visnu-Çiva. Si potrebbe obiettare che in questo caso la terna divina è rappresentata da tre figure le quali costituiscono in realtà una triplice allegoria del Principio metafisico da cui dipendono rispettivamente gli effetti cosmologici della Manifestazione, Preservazione e Trasformazione degli esseri senzienti e di tutto quanto l’Universo. Mentre nel caso delle tre deità sumere un’analoga relazione con i concetti indicati non è affatto provata; anzi, proprio quanto sopra riportato a proposito di En-lil , parrebbe a prima vista dimostrare il contrario di ciò che stiamo ora argomentando. Ma il problema vero, quando si pongono delle comparazioni di tal genere, è quello di collocare nell’esatto rapporto i termini del confronto; senza equivocare le rispettive funzioni, creando astratti e falsi parallelismi, sui quali eventualmente costruire delle false analogie sostanziali laddove non ne esistano affatto. Tuttavia è possibile anche l’atteggiamento opposto, cioè quello istintivo di difendere il proprio territorio di ricerca quasi come un inviolabile “territorio di caccia…”, ponendo delle differenze laddove esistano eventualmente delle analogie facilmente rilevabili.
Applicando dunque codesto principio alla nostra questione ne dedurremo necessariamente che, come accade pure per le tre figure indiane citate, la potenza creativa non è una prerogativa esclusiva di una singola divinità. Esattamente come Brahmâ, Çiva e Visnu sono nel contempo degli dèi creatori, sebbene la loro azione creativa si svolga in fasi e modalità differenti l’una dall’altra20, alla stessa stregua in Mesopotamia Anu, En-lil ed En-ki ci appaiono quali dèi creatori in circostanze diverse, al fine di adempiere alla manifestazione dei molteplici aspetti dell’esistenza.
Così, abbiamo appena visto, En-lil secondo il racconto di Enmerkar ha determinato dapprima la pace; mentre En-ki ha, in seguito, generato i conflitti umani (se il senso del frammento mancante corrisponde all’interpretazione del Kramer, del resto assai logica a nostro avviso). Nel testo suddetto non si parla di Anu, ma sappiamo da altri scritti – vedi certi miti cosmogonici in traduzione assira, ma originale sumero21 – che Anu (il cui nome sempre precede nelle citazioni quello di coloro che nel contesto indicato sono definiti ‘Grandi Dei’, cosa che potremmo interpretare da parte nostra quale riferimento ai capostipiti delle varie ‘Generazioni’ divine) ha per primo edificato il Cielo22, provando con ciò che il rapporto tra il suddetto nume ed En-lil è simile a quello tra Iânus e Sâturnus (o l’omologo Cà elus , erroneamente considerato un dio del mondo tardoantico) nell’ambito della tradizione latina ovvero tra Brahmâ e Çiva all’interno della tradizione hindu.
Abbiamo cercato di dimostrare in un nostro studio23 che la natura di dio sacrificatore e civilizzatore propria di Sâturnus (denominato altresì Saviturnus), per quanto questi sia stato assunto a rappresentante dell’Età Aurea al pari di Krónos in Grecia e Kâla o Savitar in India, non può in alcun modo essere connessa con quanto viceversa viene ubiquitariamente attribuito alla stessa Età Aurea (pace sociale, anzi stato di sovrannatura e quindi di precivilizzazione, mancanza di qualsivoglia culto o sacrificio).
Per cui, sebbene pure Giano abbia subito un similare processo d’identificazione con Saturno (ma in senso inverso, cioè sostanzialmente una demonizzazione), in realtà le due figure andrebbero tenute distinte da un punto di vista antropologico e storico-religioso; attribuendo, più correttamente, il ciclo aureo a Giano e quello argenteo a Saturno.
La medesima cosa vale, rispettivamente, per Brahmâ e Çiva in India.
Se è vera l’analogia da noi supposta tra i due numi latini citati, le due deità indiane correlate e le due corrispondenti sumere, ne ricaveremo che la Creazione attuata da Anu ha preceduto quella ad opera di En-lil .
In altre parole Anu24 ha creato il Cielo, che possiamo intendere quale alter-ego in senso temporale di En-lil .
Si noterà del resto che il lat. Cà elus come omologo di Saturno (vide suprâ) rappresenta un concetto meno arcaico del gr. Ouranós, sinonimo dell’Ordine Cosmico primevo; ovvero equivale all’Artefice (Demiurgo) o Legislatore che dir si voglia, il quale presiede alla separazione degli enti universali, determinando la prima forma di Dualità.
E guardacaso è proprio ad En-lil che è attribuito, in alcuni versi25, il possesso primordiale della ‘Tavola dei Destini’; per quanto in seguito gli sia stata sottratta da Zû, il mitico uccello, parallelo mesopotamico senza dubbio del Garuda indiano (veicolo nell’iconografia talora di Indra, talora di Vishnu).
Tale Uccello potrebbe egualmente essere paragonato all’Aquila di Zeùs o di Iuppiter, che svolge difatti una funzione del tutto analoga.
Se noi arguiamo che fra En-ki e Zû vi possa esistere un nesso consimile a quello tra le parallele divinità indoeuropee sunnominate26, sarà possibile tracciare un quadro generazionale nella successione vicendevole dei numi assai significativo.
Ovverosia, una volta avvenuta la Creazione del Mondo in quanto ‘Spazio cosmico’ da parte di Anu, ecco che En-lil ne piglia possesso in veste di ‘Dio del Tempo’ e ‘Signore del Destino’27.
Successivamente En-ki od Ea, il Dio delle Acque (che in quanto tale è molto affine ad Indra, a Zeùs e a Iuppiter)28, subentra ad En-lil detronizzandolo come fa Zeus con Crono; in ciò si mostra analogo ad un dio pluviale, tenuto conto che le Piogge emblematizzano le influenze celesti29. Da intendere come il flusso di Manifestazione cosmica di un Dio Creatore recente.
Il parallelismo tra queste ‘Tre Generazioni’ di Dei della tradizione mesopotamica e le corrispettive ‘Generazioni’ divine greco-romane, hittite30 ed indo-iraniche31 è troppo evidente e non può essere in alcun modo sottovalutato. Tanto più che fattori ciclici non dissimili ricorrono persino nella tradizione egizia ed in quella giudaico-cristiana32.
E d’altra parte esso è già stato messo in luce in passato da numerosi studiosi, benché a nostro parere non ne siano state tratte le debite conseguenze in termini di cosmografia generale.
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NOTE:
1) G.R. Castellino, La religione sumerica, C.I sgg; apud AA.VV., Storia delle Religioni– Utet, Torino 1971, Vol.II.
2) Cast., op.cit., p.3.
3) Op.cit., p.4.
4) Non importa che si abbia a che fare in questi casi con etnie indoeuropee. Osservando il mondo camito-semitico rilieviamo un identico fatto in Egitto ( Osiris, Seth, Horus ) e, checché se ne dica, anche in Giudea (Yahweh, El, Melkisedeq).
5) G. Semerano, Le origini della cultura europea. Rivelazioni della linguistica storica- Olschki, Firenze 1984, t.I, pp. 199-200. Non sempre le argomentazioni dell’A. sono per la verità accettabili, ma in questo caso l’accostamento è senza dubbio indiscutibile.
6) M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1976, C.II, § 19 sgg. Le stelle costituiscono le truppe di Anu, un nume che non ha alcuna iconografia, ciò dimostrando l’inattualità del culto che lo contraddistingue. La festa di cotale nume cadeva all’inizio dell’Anno Nuovo e raffigurava analogicamente l’inizio della Creazione, ma poi gli è subentrato Marduk, il rappresentante della‘Quarta Generazione’ divina presso i Babilonesi.
7) Nella teogonia hittita Alalush precede Anu, poiché si ha a che fare in quel caso con ‘Cinque Generazioni’ anziché Quattro, come nell’Orfismo greco, dove c’imbattiamo prima in Érôs Protógonos e poi in Ouranós; o nella cosmogonia platonica del Timeo ove ad Ouranós segue Okeanós. Egualmente in India troviamo negli stessi ruoli Yama e Kma ( o Varuna ), dalla qual cosa si deduce, esaminando comparativamente la questione, che nella classificazione quinaria i primi due nomi divini si sovrappongono l’un l’altro nelle varie culture. Presso gli Hittiti fanno seguito nella ‘Terza’ e nella ‘Quarta Generazione’ Kumarbish e Ayash, nella ‘Quinta’ Teshub o Hepat.
8) Il paese di Sumer è chiamato Sinar nel testo biblico (Gen.- xi. 2).
9) S.N. Kramer, I Sumeri alle radici della storia– N.Compton, Roma 1979 (ed.or. L’Histoire commence à Sumer- S.N. Kramer & Libr. Arthaud, Parigi 1975), C.XVI, p.115 ss. L’ediz. francese presenta un maggiore sviluppo rispetto a quella originale americana del 1956.
10) La datazione astronomica dell’evento ci riporta al V mill. a.C., precisamente al 4.480, il momento cioè in cui l’Asse equinoziale – consueta immagine per gli antichi dell’ Axis Mundi – cadeva nell’asterismo di Orione (esattamente a 0° dei Gemelli). La data menzionata è comunemente accettata pressappoco come il periodo dell’avvento in Mesopotamia dei Sumeri, provenienti dal mitico Dilmun, luogo equivalente secondo noi ad un arcipelago sommerso dell’Oceano Indiano e conosciuto nell’Induismo col nome di Dvârakâ. Siamo convinti personalmente che le genti paleoindiche della Civiltà della Valle dell’Indo provengano dal medesimo territorio, sprofondato per cause diluviali, secondo quanto dichiarato dal Mahâbhârata. In ricordo di codesto accadimento l’una e l’altra popolazione hanno denominato con gli stessi nomi della sede semiparadisiaca di provenienza dei siti localizzabili rispettivamente nel Bahrein e nel Gujarat, i quali vanno presi perciò quale semplice indizio di una direzione geografica. Che non si tratti meramente di una leggenda, bensì di un fatto storico, è dimostrato dal fatto che simultaneamente nella mitologia ellenica si narri della sommersiome dell’isola di Creta e di altri eventi catastrofici più o meno databili attorno alla metà del millennio sopra indicato.
Dal punto di vista archeologico, sino a qualche decennio fa, si attribuiva il Diluvio attestato dalla letteratura sumero-accadica alla fine del IV mill. Ma oggi anche la geologia lo sposta addietro nel tempo, ad una data che approssimativamente concorda con quella ricavabile a livello astronomico dai dati leggendarî. Nel Poema di Gilgamesh, infatti, il protagonista ed Enkidu formano una coppia fatidica che allude metaforicamente ai Gemelli Divini (vide suprâ). Onde il Diluvio, di cui è recata testimonianza nel testo da parte di Utnapstîm, va inteso sicuramente in rapporto alla fine della presenza vernale di codesto Segno zodiacale; fine che, naturalmente, è correlata all’inizio della ‘Quarta Età ‘ d’indoeuropea memoria. Per un approfondimento della tematica in questione cfr. G. Acerbi, La terra mitica dei Dravidi- Algiza (Nov. ’99, N°13 ), Chiavari 1999, pp. 9-12.
11) Notiamo per inciso che non vi è alcun mito in alcuna tradizione postulante la poligenesi dell’umanità. Solo in tempi molto recenti certi biologi si sono spinti testardamente verso codesta tesi, negando la monogenesi delle razze umane tramandataci dalle Scritture (cristiane e non). Il nostro punto di vista al riguardo lo abbiamo espresso in uno scritto precedente. Cfr. G. Acerbi, I Pañcajana, le ‘Cinque Razze’ degli Zingari ed i ‘Semi’ del Tarocco- Algiza (N°12, Giu.’99), Chiavari 1999, pp. 16-9 passim.
12) Con ciò non s’intende, ovviamente, l’inesistenza dei numi prima della ‘Quarta Età ‘ mitica ( vide n.10); ma, piuttosto, una serie di cicli nei quali partendo dal culto dell’Unità Divina vera e propria si giunge attraverso una dispersione culturale crescente ad uno stato di cose in cui la frammentarietà e la molteplicità del simbolo minano seriamente l’Unità stessa. Senza peraltro mai annullarla. Soltanto in caso contrario sarebbe avvenuta una caduta nel politeismo, tanto avversato dai monoteismo di stampo abramitico. In altre parole da una concezione primaria del Cielo in senso uranico, quale Unico Ente creativo (An, rappresentato con lo Scettro su un Monte Paradisiaco), si è passati tradizionalmente ad una tipologia divina che intendeva il Cielo come Signore del Tempo. A questo allude senz’altro l’attribuzione della‘Tavola dei Destini’ ad En-lil (vide infrâ). Al nume temporale deve essere subentrato successivamente un nume pluviale, il sumerico En-ki ( Ea in semitico) appunto, dimorante nella sua caratteristica ‘Casa d’Acqua’ (Eanna). In siffatta maniera egli viene effigiato in un cilindro in pietra accadico, proveniente da Ur ed appartenente al Mus. di Bagdad, della seconda metà del III mill. a.C. Cfr. A. Parrot, I Sumeri- Rizzoli, Milano 1960 (ed. or. Sumer- Gallimard, Parigi 1960), C.IV, p.193, fig. 240. Infine il Genio delle Acque lascia il posto ad una Regina degl’Inferi, nota col nome di Eresh-kigal e patrona probabilmente di un calendario lunare che aveva in Orione il punto di partenza annuale. La ripartizione quadripartita ora delineata non ha solamente un carattere cronologico, ma pure spaziale; giacché attiene, nel contempo, ai Quattro Mondi (Cielo, Atmosfera, Mare, Inferno). Analogamente in Grecia troviamo, con le medesime funzioni: 1) Urano, 2) Crono, 3) Zeus, 4) Artemide; essi costituiscono rispettivamente i Signori dell’Età dell’Oro, dell’Argento, del Bronzo e del Ferro.
13) O. G. von Wesendonk, The Kâlavda and the Zervanite System – The Society (J.R.A.S. ), Londra 1931, pp. 53-109. Sono interessanti le interrelazioni tracciate dall’A. all’interno dell’area indo-mediterranea, ma le conclusioni lasciano francamente a desiderare, essendo di stampo accademico. Ad es. il Wesendonk nega una propria originalità allo Zurvanismo, che considera lo sviluppo nel Periodo Sassanide di idee e concetti penetrati in Persia dalla Grecia durante l’Epoca Achemenide.
14) Il dio Kâla rappresenta il corrispettivo hindu, anche in termini propriamente filologici, del Krónos/Chrónos ellenico; dal punto di vista planetario è identificabile sia al Sole, sia a Saturno. Ma costituisce innanzitutto un nume celeste, Signore del Mutamento ciclico.
15) Che le omologie ipotizzate fossero effettivamente riconosciute dagli antichi non è una nostra deduzione, bensì un fatto documentabile. Cfr. G. Acerbi, Note sullo sfondo cosmologico del Tetramorfo di Ezechiele- Nicolaus, Bari (art. in attesa di essere pubbl.), n.11.
16) Nella stessa cultura occidentale, osserviamo, la rad. √st- è presente in termini denotanti entrambi i concetti: lat sto ( ‘stare’) e sisto ( ‘far stare, porre, trovarsi’), a.at. zît (‘tempo’), ted.m. Zeit ( id.).
17) Cfr. E. Anati, Origini dell’arte e della concettualità – Jaca B., Milano 1989, passim.
18) Non diversamente da quanto testimoniato da Esiodo riguardo Zeus, posto “erroneamente” a presidio dell’Età dell’Argento ( Op.- i. 106-42), la tradizione mesopotamica assegna ad En-ki un analogo ruolo. Nello schema teogonico da noi brevemente tracciato alla n.12 abbiamo invece attribuito al Dio delle Acque il dominio dell’Età del Bronzo. È chiaro dunque che, assegnando una funzione primaria al secondo nume della serie enumerata (in tal caso intendendo Crono quale Signore dell’Età Aurea al posto di Urano, od En-lil in luogo di An ), i numi elencati in successione si spostano conseguentemente in avanti; magari con l’inserzione di un doppione, per colmare la lacuna determinatasi. Codesto possibile ribaltamento di ruolo dimostra che una data divinità incarna in sé tutte le potenzialità degli altri dèi. Ed esclusivamente per motivazioni simbologiche essa può essere racchiusa in una cornice ristretta. La verità latente, però, è che quand’occorre in un contesto enoteista quale quello sumero-babilonese ciascun nume si appropria di altre funzioni e travalica il suo ambito ben delimitato. Ciò che, d’altro canto, deve essere accaduto anche normalmente nel culto attraverso la scelta fideistica da parte del devoto.
19) A.L. Oppenheim, L’antica Mesopotamia. Ritratto di una civiltà – Newton C., Roma 1980 (ed. or. Ancient Mesopotamia. Portrait of a Dead Civilization- Chicago U., Chicago 1977), C.IV, p.181.
20) In quello che unanimemente viene considerato dagli studiosi uno dei più antichi Purâna (Vy.P.- i.. 2, 32, 21 ) si attesta che ciascuno dei tre membri divini della Trimûrti stia in relazione con un’epoca ben determinata. In altre parole Brahmâ era venerato nell’Età Aurea (per questo non esistono o quasi templi a lui dedicati), lo Yajña alias Prajapati nell’Età Argentea, Vishnu nell’Età Bronzea e Maheçvara alias Kâla nell’Età Ferrea. Per la verità l’elencazione qui riprodotta ci appare di primo acchito un po’ strana, dato che Çiva -notoriamente conosciuto come l’ Asura ( Daìmôn) per eccellenza oltreché quale Mahâdeva ( ‘Grande dio’) – è per forza di cose un nume più arcaico di Vishnu; infatti è scritto nelle Upanishad (B. Â.U.- i. 3, 6) che i Deva sono stati generati dagli Asura per frammentazione, dopodiché “si sono sparpagliati in tutte le Direzioni”. Ma è ovvio naturalmente che, essendo il Vâyu Purâna un testo çaiva, non poteva porre la simbologia çaiva quale più adatta ai tempi correnti ossia all’Età del Ferro ( Kaliyuga ). Ciò che è invece esplicitamente affermato dai Tantra, le scritture appartenenti appunto alle scuole di carattere shaktico, le quali hanno fatto di tale fattore un motivo importante per la loro venerazione. Quel che importa ora sottolineare è dunque che lo Yajña (il Sacrificio) è stato compiuto nell’Età dell’Argento ( Tretâyuga ) – proprio da Rudra-Çiva (cfr. con il Crono della Teogonia esiodea ed il Saturno latino), che evidentemente esisteva già fin da allora… Vedi in proposito il Vy.P.- i.. 2, 32, 16.
21) Cfr. a cura di G. Furlani, Poemetti mitologici babilonesi ed assiri– Sansoni, Firenze 1954, Cc. 1-4, pp. 55-9.
22) Furl., op.cit., C.IV, p.58 (vide l’esordio del poemetto).
23) Ci permettiamo di rinviare a G. Acerbi, Le ‘Caste’ secondo Pkatone. Analisi dei paralleli nel mondo indoeuropeo– Convivium (A.IV, N°13, Apr.-Giu. ’93), Borzano (R.E.) 1993, P.II, pp. 24-7, n.29.
24) Anu ( An ) è il capostipite di ogni successiva genealogia nelle tradizioni sacre dei Sumeri e di tutti coloro che, pur provenendo da ceppi etnici differenziati, le hanno poi ereditate in Mesopotamia e in Anatolia ( Accadi, Assiri, Babilonesi principalmente; ma anche Hittiti, Hurriti ).
25) Furl., op.cit., C.VII ( mito di Zû e Lugalbanda ), pp. 49-54, vv. 5-7 e 18-22.
26) Supporre delle antiche omologie strutturali nell’ambito di tradizioni risalenti a ceppi ben distinti, come il ramo indoeuropeo (che personalmente identifichiamo al ramo jafetico) e quello camito-semitico, non è assolutamente reato, considerando i presupposti delineati alle nn. 15 e 17.
27) Cfr. n.9. Al pari del Crono-Saturno greco-latino e del Kâla indiano è lecito supporre che l’ En-lil sumerico celi un riferimento ad una simbologia di tipo settenario-planetaria. Che i pianeti non fossero conosciuti dai primi scrutatori dei cieli è una sciocchezza tale che solo degli uomini privi di contatto quotidiano con la sfera celeste quali sono in genere gli studiosi contemporanei, all’interno di un ambiente ormai desacralizzato, possono sostenere. Se è vero che il più arcaico Zodiaco a noi noto risale a 10.000-12000 anni fa, è oltremodo illogico ritenere che all’epoca non fosse diffusa la conoscenza dei corpi celesti erranti accanto a quella delle stelle fisse. Il fatto è d’altra parte smentito dalle tradizioni sacre di tutti i continenti, che postulano al contrario la presenza ad un rudimentale calendario planetario – sicuramente oggetto di culto – già all’alba della civiltà umana. In termini paletnologici, potremmo dire, fin dal Tardo Paleolitico. Il binomio Sole-Saturno, infatti, è sempre stato associato ai pianeti omonimi; a partire dalla mitica Età dell’Argento, cominciata secondo i calcoli astrali circa 40.000 anni fa. È questa l’epoca praticamente in cui l’ Homo Sapiens comincia a dedicarsi all’attività artistica. Siamo convinti, da parte nostra, che l’intera attività in codesto campo soggiaccia in totô ad un simbolismo di tipo astronomico, pur essendo possibili congiuntamente delle interpretazioni di altro ordine. Gli studî del De Santillana e della Von Dechend sui miti e le leggende di tutto il globo insegnano al riguardo, nonostante il difetto costante di un certo esclusivismo interpretativo.
28) Etimologicamente il nome Zû può essere rimandato al gr. Zeùs, scr. Dyaus, lat. Iu-(p-piter). Vale a dire, il veicolo ornitomorfico si confonde e s’identifica con il suo cavaliere celeste. D’altronde, pure il Garuda indiano assume spesso una parvenza semiantropomorfica. Vide S.L. Nagar, Garuda. The Celestial Bird in Indian Art and Literature- Book India, N:Delhi 1992, C.IV sgg (tavv. comprese). In Egitto il Falco di Horus presenta un significato analogo, di contro al Coccodrillo di Seth.
29) Così come in precedenza si assiste ad un primario passaggio dal Dio Unico (il Cielo in sé) ad una ipostasi divina di carattere uni-settenario, qui si assiste invece ad un secondaria trasformazione del nume uni-settenario (plasmato secondo una simbologia planetaria) in un nume uni-tridenario (foggiato in base ad un simbolismo zodiacale). Del legame di Ea con lo Zodiaco né è riprova il fatto che costui sia spesso associato all’ Aigókeros, la Capra-pesce (cioè il Capricorno). In altre parole, le varie detronizzazioni numinose corrisponderebbero, a nostro modo di vedere, a delle specializzazioni funzionali sempre più spinte da parte dei reggitori dei corrispettivi pantheon divini; specializzazioni esplicantisi da un lato nell’assoggettamento ciclico del Mondo Celeste ed esplicitantisi, dall’altro lato, nella moltiplicazione del proprio contrassegno numerico di valore celatamente misteriosofico.
30) Nel mondo hittita (cfr. n.7) ad Anu seguono Kumarbish e Ayash. Le evirazioni teogoniche ritraggono plasticamente il passaggio di consegne da una dominazione divina all’altra.
31) Nella tradizione iranica incontriamo la seguente trimorfia divina: Yima (omologo di Yama, a ppropria volta allotipo di Brahmâ), Zurvân (omologo di Kâla), Verethraghna (omologo di Vrtrahan, cioè di Indra ).
32) Cfr. n.4.