1. Un mistero con le maschere a Roma
Idevoti dei misteri di Mithra erano organizzati secondo una gerarchia di sette gradi: corvo, sposo, soldato, leone, persiano, corriere del sole, padre.
I mosaici del mitreo di Felicissimus a Ostia ci informano sulle corrispondenze dei gradi con i pianeti e sulle insegne che loro rispettivamente competono; gli affreschi di quello di Santa Prisca sui loro costumi e funzioni. Nel mosaico del mitreo ostiense il settenario dei gradi iniziatici viene messo nella seguente corrispondenza con i pianeti: corax , Mercurio; nymphus , Venere; miles , Marte; leo , Giove; Persa , Luna; heliodromus , Sole; pater, Saturno1. Robert Turcan, che ritiene secondario e posticcio lo strato dottrinale astrologico, considera il settenario dei gradi iniziatici una formazione tarda, istituzionalizzata solo nella seconda metà del II secolo, per far quadrare la serie degli astri con la scala dei gradi; a suo avviso gli unici titoli sicuramente primitivi sono quelli di corvo e di leone2.
Il primo e il quarto grado, corax e leo , indossavano maschere di animali (come risulta dal bassorilievo di Konjic, presso Sarajevo in Bosnia).
È idea comune generale dei misteri che l’iniziato, nel rinnovare se stesso, rinnovi anche il mondo e la comunità. Certamente si tratta di un’idea presente nel pensiero vedico e iranico, ma anche presso i Latini, gli Egizi, e – più lontano – presso i Cinesi; eppure l’idea che la rinascita degli individui (in particolare la rinascita della classe dei maschi adulti, dei governanti e dei guerrieri, ovvero soltanto del sovrano in cui si riassume la società intera) si ripercuota in una rinascita generale appartiene a un fondo ancora più arcaico, del quale è stato riconosciuto tributario lo stesso pensiero indoiranico. Tale fondo è quello che in sede etnologica si esprime nelle procedure introduttive alla nascita dei veri uomini attraverso i riti di cui sono depositarie le società segrete delle maschere, i Männerbünde , le confraternite maschili iniziatiche.
Nella società e nella cultura persiane tali società segrete di guerrieri godono di grande prestigio e è noto che presso di esse è coltivato in sommo grado il valore della lealtà reciproca, del mantenimento della parola data, della fedeltà al giuramento agli dei. Altrettanto nota è la importanza della mano destra nella cultura indoiranica, come sede della propria potenza e come rappresentante impegnativa della propria persona.
Nella Commagene, regione nella quale sembra potersi rintracciare l’anello intermedio tra il Mithra originale iranico e quello greco-romano, uno dei simboli fondamentali del culto del re era la stretta della mano destra ( dexiosis ) tra lui e Mithra, proprio quella che ritroviamo al centro del rito e dell’immaginario mitraico greco-romano, anche qui con il valore di autentico sacramento con il quale ci si impegna nel rapporto di alleanza con gli dei, essenziale come la romana pax deorum .
Per il mitraismo, l’umanità non è metafisicamente separata dalla divinità e esclusa da un destino divino; al contrario una parte di essa può partecipare al drammatico conflitto che segna la fase cosmica in atto in stretta alleanza con Mithra. L’uomo, che rischia di rimanere inchiodato nell’irrigidimento e precipitato nell’oscurità, deve alzarsi e lottare.
Richiamando i poteri che le maschere suggellano in sé, l’uomo può farcela; può farcela acquistando nature sempre più ricche. Del resto, una volta accertata la presenza qualificante delle maschere nel nucleo primitivo del mitraismo se ne deve dedurre che ciò comporti con sé anche la retrostante ideologia3.
Il conseguimento dei vari gradi doveva venire interpretato come una trasmutazione in forme speciali demoniche e la assunzione delle maschere corrispondenti confermava l’avvenuta integrazione con stati di esistenza e poteri più intensi.
Si configura così un fenomeno religioso relativamente recente in cui la metafisica della maschera si presenta ancora in primo piano.
2. Una religione filosofica?
I l primo e il quarto grado degli iniziati mitraici, corvo e leone, corax e leo , indossavano le maschere degli animali corrispondenti e ne imitavano il verso gracchiando e ruggendo.
Anche i Traci si mascheravano in occasione del sacrificio del toro4.
Il corvo è un messaggero del sole, il cui tentativo di trovare il toro fuggito non raggiunge il risultato. Il leone è un simbolo solare e dato che tutti i simboli contengono una doppia valenza esso potrebbe anche rappresentare un demone negativo e contrario. L’arcangelo Michael e l’evangelista Marco hanno la testa di leone, come peraltro l’arconte malvagio Ialdabaoth.
Un grande eroe liberatore – dal profilo strutturale arcaicissimo –, Herakles, indossa abitualmente uno strano elmo formato dalla testa a fauci aperte di un leone. Nello strato più primitivo del suo mito affiorano i caratteri di un Signore degli animali5, ovvero di una arcaica divinità che ha la forza di trarre gli animali dal mondo dell’invisibile.
Fino dal Paleolitico gli animali – come tutto ciò che viene alla vita e la alimenta – vengono dal regno dell’oscuro, dalle viscere del mondo, dalle caverne. Hermes, il trickster , ruba i buoi del fratello Apollon trascinandoli a ritroso, come conviene fare liberando le ricchezze di cui l’aldilà – che costituisce il rovescio dell’aldiqua – è sempre dovizioso. La sua procedura contiene tuttavia un’aura di ambiguità, perché il cammino a ritroso potrebbe anche e meglio indicare che l’armento sta così tornando nel luogo suo proprio; e con ciò si mostrerebbe anche la ambiguità di Apollon-Helios il quale, dato che riesce a scoprire ciò che è stato ricondotto nell’aldilà, deve di conseguenza essere dotato del potere di estendere la sua influenza sia sul chiaro sia sullo scuro.
Anche per il grado di heliodromos è stata avanzata l’ipotesi6 che sia stato usato il nome di un animale. Si tratterebbe di un uccello indiano la cui vita imita il sole, infatti fino dalla nascita si alza verso oriente e scende verso occidente e la sua vita dura esattamente un anno. Così, nel suo comportamento starebbe racchiusa e la corsa diurna e la corsa annuale del sole.
Che i Misteri prevedessero la presenza di animali, almeno per i gradi che occupavano i sedili, risulta a Gordon anche dal fatto che proprio i sedili possono venire chiamati praesepia (Ostia, Aldobrandini)7. Queste argomentazioni sollevano una questione più generale; se si prende atto che la nuova e fresca metafora locale del gruppo di Ostia rinvia a un pre-existing complex of established Mithraic metaphors wich speak of human beings in terms of animals , allora bisognerà anche decifrare il codice secondo cui sono stati organizzati e trasvalutati in tale modo specifico uomini negli animali e animali negli dei e nelle stelle.
Roger Beck8, riconoscendo che la linea interpretativa astrologica introduce in un campo altamente simbolico, attribuisce particolare importanza ai testi del neoplatonico Porfirio ( de antro nympharum e de abstinentia ) in quanto rappresentante di una filosofia a forte caratterizzazione simbolica. Per la stessa ragione Porfirio viene considerato inattendibile da Turcan, che lo prende piuttosto per un interprete filosoficheggiante dei misteri in genere invece che per un testimone ravvicinato del mitraismo.
Comunque, gli studiosi che propendono per la tesi interpretativa astrologica debbono fare i conti con le testimonianze neoplatoniche. In proposito, Gordon taglia corto: Plutarco e Porfirio portano al caos9 perché non distinguono più tra esegesi e mito, mentre Origene ( c. Cels. 1, 12) almeno si lascia sfuggire che «fra i Persiani (= i mitraisti) ci sono riti di iniziazione che vengono interpretati loghikôs dagli eruditi ma messi direttamente in atto da gente di livello popolare.»
Ora, per Gordon, neanche Origene era più in grado di distinguere loghikôs (= filosoficamente, secondo la sua traduzione) tra il mito e la speculazionesacerdotale non greca che di solito interessa i filosofi10. Però, paradossalmente, proprio la impossibilità di distinguere ormai più tra misteri veri e filosofia neoplatonica11 rende imprescindibili le allegorie neoplatoniche. Esse (e il loro complex ) costituiscono a suo avviso ormai un passaggio obbligato per ogni tentativo di raggiungere un nucleo del mistero più genuino e meno sofisticato eventualmente sottostante alle rielaborazioni romane. Di modo che tocca a noi ora di fare ciò che i contemporanei del mitraismo non hanno fatto, cioè di discriminare nell’universo delle allegorie.
Così la tesi origeniana – che i misteri erano interpretati dallo strato più colto mentre i più semplici li applicavano direttamente ( enacted directly ) – stimola Gordon a ricercare le metafore non istituzionalizzate ( established ) presso i lessici locali.
In breve, si affaccia un criterio volto a spiegare la stratificazione delle metafore del mitraismo sulla base della articolazione dei livelli sociali degli adepti, articolazione che si proietterebbe in una sorta di dualismo nel culto e nella dottrina, una religione passiva per il popolino o la truppa ( common, rather shallow, people ) e una filosoficamente sofisticata per le classi colte.
Non è chiaro se Gordon spingerebbe la sua interpretazione del passo di Origene fino a affermare che una traccia intatta del mistero originale potrebbe essersi conservata presso i mitraisti più ingenui, proprio a causa della loro passività ; mentre il culto effettivamente affermatosi a Roma sarebbe altra cosa, specificatamente risultando dall’intervento di ambienti culturalmente sofisticati impegnati a valorizzare, adeguare, assimilare una divinità esotica, o le divinità esotiche in genere.
3. Il mito di Mithra
N on abbiamo notizie complete e argomentate sul mito di Mithra, tanto meno dall’interno della confraternita dei mitraisti, salvo nel caso di Tertulliano che pare fosse stato iniziato ai misteri mitraici in Roma prima della conversione al cristianesimo sul finire del II secolo. Le notizie più estese che questo autore ci rimanda sono circoscritte al rituale di consacrazione dei gradi di miles e di leo . Ma la sua attendibilità è oggetto di riflessione preoccupata: nel passo in predicato (de praescr. haer. , 40) compare l’inquietante affermazione che era il diavolo a offrire agli iniziati una rappresentazione della resurrezione (imaginem resurrectionis inducit). E tuttavia accogliamo la notizia (che, fatte salve tutte le doverose riserve, risulterebbe pur sempre provenire dall’interno) che i mitraisti si concentravano su una icona della resurrezione . Il concetto di resurrezione va preso con la massima cautela e però è interessante che esso si trovi in relazione con la uccisione compiuta dall’eroe, padrone della vita – si direbbe – in quanto padrone dell’atto di morte.
Tra gli elementi di un mito che doveva avere una sua complessità spiccano la nascita dalla roccia (saxigenus); l’avere provocato con un colpo di freccia sulla roccia lo sgorgare di una copiosa sorgente vitale per gli uomini; una impresa ardua – definita transitus dei – che comprende la cavalcata del toro, il suo trascinamento (tauroforia) nei modi che si è detto fino al trasporto a spalla dentro l’antro; la tauroctonia (il termine taurobolion usato come sinonimo corrisponde effettivamente alla stessa azione?), ampiamente documentata come episodio culminante.
Come si vede già dalle grandi linee, ci troviamo di fronte a prove e imprese particolarmente ardue che si richiamano quasi certamente a uno scenario iniziatico, peraltro tipico dell’eroe.
Il dono delle acque, dissuggellate dalla montagna con la forza magica delle proprie armi, potrebbe riferirsi allo strato più antico della figura di Mithra, a quel ruolo di grande mediatore psicopompo che abita la vetta del mitico monte Hara (il vertice della terra per gli Iranici), sulla quale scende l’arcobaleno che fa da ponte tra la terra e il cielo. Le grandi acque benefiche che si rendono disponibili in terra (Gange, Nilo, e in definitiva tutti i grandi fiumi) provengono da grandi bacini celesti attraverso misteriosi passaggi dall’alto principalmente seguendo l’arcobaleno o la strada aperta da grandi dee (Ishtar) o dei dalla loro sede urania, localizzata spesso sulla luna. Ora, il Mithra antico iranico abita il luogo alto da cui prende slancio questo fondamentale passaggio e il colpo della freccia miracolosa – che somiglia molto da vicino a un atto da sciamanico mago della pioggia – garantisce il collegamento con il cielo. Mithra, lo sappiamo, è infatti il giudice delle anime per delega del Signore Sapiente e constatiamo che anche nel quadro monoteistico non gli si è potuta sottrarre questa sua essenziale funzione.
E’ vero che l’arma più nota di Mithra sembra essere il pugnale a lama larga che affonda nella gola del toro, epperò questo non deve impedirci di dare il peso dovuto alla sua freccia, la quale in un certo senso sembra restare consegnata nell’ombra di un episodio secondario mentre invece illustra in modo significativo la figura del dio eroico.
La freccia va lontano e colpisce oltre le distanze. Nello stesso termine di taurobolion (alla lettera, uccisione del toro mediante un colpo lanciato da lontano)12 si allude a un rituale diverso dallo sgozzamento – che sembra più circoscritto e più da recinto sacro (per una vittima preparata e disciplinata) – del genere più arcaico della cultura dei cacciatori paleolitici proiettati negli spazi aperti delle vaste praterie a inseguire circondare sfiancare i tori selvaggi, in una delle cacce più difficili e selettive13. Questa considerazione non depone a favore della tesi di Turcan che la tauroctonia sia un sacrificio ordinario.
Il trascinamento a ritroso di animali da armento sembra a prima vista un comportamento furbesco di abigeatari che vogliano ingannare il legittimo proprietario. Hermes, nell’inno omerico a lui dedicato, trafuga in siffatto modo la mandria di suo fratello. Similmente si comporta il gigante Cacus che sottrae a Herakles sette capi di bestiame trascinandoli per la coda nella sua grotta dell’Aventino14. Mithra viene anche denominato ladro di buoi (sprezzantemente: bouklopos , in Firmico Materno).
Il collegamento con lo scenario dei cacciatori e razziatori arcaici illustra un tratto della figura primitiva di Mithra; in quella ideologia, gli animali selvaggi sono proprietà delle potenze invisibili dell’aldilà e solo un eroe che abbia ottenuto il soccorso di dei potenti può andare a prenderli vincendo i guardiani. Herakles costringe il Sole a aiutarlo, in specie nel percorso oltremondano (e infatti trasborda nell’aldiqua i buoi del triplice Gerione infero sulla coppa del Sole. Il Sole, lo abbiamo già visto più sopra, è ambiguo e ha due facce). Anche Mithra fruisce dell’aiuto del Sole (o lo costringe?).
Tuttavia il percorso dell’impresa faticosa del dio, che si dimostra capace di catturare il toro, sfiancarlo, trascinarlo per le zampe, trasportarlo a spalla nel suo antro, e infine offrirlo in modo esemplare va studiato con attenzione. Infatti qualcosa non quadra completamente. Il sacrificio del toro non avviene all’aria aperta bensì nella caverna, come se fosse stato riportato dal proprietario vero lì indietro, nella sede naturale, dopo una fuga indebita.
Il toro viene fatto rientrare nella caverna, sede appropriata alle mandrie infere. E il rovesciamento forzato del modo di marciare indica piuttosto che si tratta di un ritorno. Inoltre, il dio sta di casa (mito della nascita) nella caverna, cosicché si configura nel tempo stesso come un Signore degli animali e come un Signore del labirinto . Il toro appartiene alla sua giurisdizione, e solo lui dimostra di poterne trarre le potenze intrinseche.
Il mito primitivo contempla che il toro era fuggito e che il benefattore lo aveva ripreso per sé in qualità di legittimo proprietario. Del resto nella ideologia dei paleocacciatori la caccia riesce fortunata solo a condizione che la preda venga riconsegnata (anche simbolicamente, p.e. nel modo della pars pro toto ) al terribile proprietario Signore o Signora degli animali, in quanto solo questi può disporre della preda selvaggia.
Ecco, Mithra pare specialmente congiunto con la ambivalenza del Sole. Egli è anche il Sole che sta nella caverna, ovvero anche l’altra faccia del Sole. Versato sulle due regioni che costituiscono l’una il rovescio inscindibile dell’altra, di esse mediatore, il molteplice Mithra15, mortale e vitale, uccisore e creatore, si colloca nel punto di passaggio e di inversione tra visibile e invisibile. Ciò è caratteristico del signore della maschera.
Mithra viene giustamente accostato al leone, tipica maschera della bipolarità del Sole. Sottolineo di sfuggita che la figura del dio che assalta il toro ricalca fedelmente l’iconografia esemplare del leone che caccia il toro, lo assale sulla groppa e lo azzanna per atterrarlo.
Non a caso, come ho sottolineato, il culto mitraico comprende l’uso delle maschere da parte di una società segreta maschile di guerrieri. È questa una delle ragioni per la quale è connaturato con la religione di Mithra di essere un mistero, infatti al centro dei misteri sta il tema della preparazione a affrontare il terribile e sconvolgente incontro con le potenze dell’invisibile, per appropriarsene a integrazione di sé.
Naturalmente a una entrata a rovescio rispetto alle apparenze e alle regole del mondo sensibile dovrà corrispondere una uscita simmetricamente inversa; di modo che il toro deve entrare a rovescio nella caverna come le anime per liberarsi debbono sciogliere i nodi nell’ordine inverso rispetto a quello con cui sono stati legati dai poteri che dominano il mondo.
4. Il sacrificio del toro
I l sacrificio del toro è l’episodio culminante del mito di Mithra. Nel mitreo di Santa Prisca un verso dipinto recita: et nos seruasti (a)eternali sanguine fuso , e tu ci hai salvato con lo spargimento del sangue eterno. In verità, il rito del taurobolion è fondamentale anche nella religione della Magna Mater Cibele; ma nel caso mitraico non si tratta di un sacrificio al dio sibbene del dio.
Fino dai primordi il toro è stato simbolicamente connesso con il cielo nel suo aspetto uranico, sia come cielo notturno stellato in genere sia come una figura specifica presente nello Zodiaco16. La figura del toro si specializza come rappresentazione del lato notturno del sole e arriva a essere associato all’astro lunare dalle corna falcate del quale segue le vicende patetiche. La luna è l’astro vagante per eccellenza e viene inoltre considerata sede delle acque e dei semi della vita17. Nei rilievi mitraici del tipo danubiano ricorre un particolare tipico: il toro seduto nella navicella lunare a forma di falce, scapha lunaris .
Mithra, nel compimento del suo atto supremo, quando affonda il pugnale tra la spalla e il collo del toro, non guarda la vittima a cui pure torce il muso volgendolo a sé. L’espressione che viene fissata sul viso del giovane dio non è di trionfo, come sarebbe naturale in chi avesse prevalso su una forza indomita. Cumont la considera una espressione di tristezza, come se l’atto venisse compiuto malvolentieri, e sulla base di questa interpretazione attribuisce l’archetipo iconografico a uno scultore della scuola di Pergamo, tipica per le espressioni patetiche e drammatiche, scultore che si sarebbe rifatto al modello della Nike bouthutousa (la Vittoria che sacrifica il toro) del tempio di Athena sull’Acropoli.
Turcan ritiene invece che il viso del tauroctono sia solo “teso e ispirato”18: del resto egli vede la vittima bardata secondo le regole del sacrificio romano ricinta con una tipica dorsuale ricamata19 e giudica che la sua immolazione si compia all’interno di un rito pacato. Cumont in luogo della dorsuale distingueva la cintura dei tori da combattimento e, in effetti, il toro sembra opporre una selvaggia resistenza e essere stato preso di slancio (indignata sequi torquentem cornua – canta Stazio, Tebaide , I,720 – ).
La discussione sulla icona archetipica è del massimo interesse perché in essa non può non essersi conservata la chiave per decifrare il senso strutturale del dio.
Comunque vada intesa la maschera di Mithra, un suo tratto permanente è che egli non guarda il toro mentre lo uccide e che si gira dall’altra parte: il tema del rovesciamento nel rapporto con il toro ricorre in modo caratteristico e non solo nell’episodio culminante (in cui sono rovesciati la testa del toro e il volto dell’eroe), ma anche in quello precedente e altrettanto peculiare della cattura, nel modo a ritroso con cui il toro viene trascinato nell’antro – modo che esaminerò più avanti –.
In verità, nell’immaginario classico c’è un eroe, splendidamente solare, che affronta la sua vittima con la testa girata, senza guardarla direttamente per non restarne attratto e irrigidito. Egli è Perseo, il mitico fondatore della nazione persiana, ma tutto ciò non è prova sufficiente per una sua identificazione con Mithra.
Tuttavia la coincidenza di Mithra con Perseo è stata sostenuta, sulla base di argomenti astronomici, da David Ulansey20 il quale ha attribuito la formazione della nuova religione alla crisi provocata dalla scoperta della variabilità degli equinozi e cioè del corso stesso degli astri (in breve, della zona più divina del cosmo). Gli astronomi si erano accorti già da tempo della precessione degli equinozi, negata per ragioni di principio dai sostenitori della fissità del grande ciclo cosmico, e una corrente attenta allo studio del valore religioso dei segni degli astri ne avrebbe fatto il suo tema principale.
Orbene, per quella particolare oscillazione conica dell’asse terrestre (nel sistema geocentrico, l’asse terrestre si prolunga nell’ axis mundi ) che provoca il fenomeno della precessione, l’inizio dell’anno (la primavera) non veniva a cadere più sotto il Toro (maggio) bensì sotto l’Ariete (aprile). In quel tempo, mentre le costellazioni corrispondenti agli animali dell’icona archetipica (cane, serpente, corvo) comparivano sopra l’equatore, si vedeva il Toro soccombere sotto la costellazione di Perseo. Ulansey sostiene che a questa sarebbe stato attribuito il nome di Mithra in onore di re Mitridate VI Eupatore che rivendicava di discendere da Perseo. C’è da aggiungere che tale attribuzione risultava coerente con la credenza che Mithra, dio del Sole levante, reggesse proprio l’equinozio di primavera.
Turcan obbietta che la suddetta precessione non avrebbe affatto sconvolto le menti21, e incalza osservando che la teoria di Ulansey « ne rend pas compte de toute l’imagerie mithriaque, en particulier des épisodes qui suivent ou précèdent la mise à mort du taureau. Pour être crédible une exégèse doit être totale »22.
Dal canto suo egli ha preferito attenersi alle steli a figure multiple del tipo retico-renano dalle quali emergerebbe il racconto di una vera e propria storia del mondo che cominciata con Aiôn leontocefalo, Saturno, finisce con il suo ritorno. In mezzo, l’intervento di Mithra23.
Da tutto ciò Turcan ricava che quella del mitraismo è la religione dell’ eterno ritorno . (*)
Ulansey ha ulteriormente precisato24 che nel dio del mitraismo andrebbe riconosciuto il sole iperuranio dei platonici, forza che non può essere contenuta nella caverna cosmica ma che ne erompe e la governa, quasi un dio eroico con il potere di sovrastare e di invertire il corso degli astri.
Se dietro il toro si celasse Saturno-Aiôn la tauroctonia corrisponderebbe alla mitica mutilazione con la quale si dà inizio all’ordine attuale.
Tuttavia alcuni studiosi hanno ritenuto che Mithra si ponga in contrasto non tanto con Crono-Saturno quanto con Ahriman, dio di questo mondo, e nella figura con la testa di leone circondata da segni zodiacali hanno preferito vedere quest’ultima potenza. Naturalmente, una simile lettura comporta che l’uccisore del toro (saturnino) sia Ahriman.
5. Mithra e Ahriman
L’escatologia iranica ci è pervenuta da testi redatti in epoca relativamente tarda dai riformatori zoroastriani, ma non dobbiamo sottovalutare i testi ancora più recenti dei controriformatori i quali reagendo alle innovazioni spiritualiste di Zarathustra con ogni probabilità hanno ripresentato idee più primitive tratte dalla tradizione precedente, anche se va considerato che spesso i riformatori hanno cura di avvolgere le loro accelerazioni in arcaismi altrettanto autentici – ciò vale per gli Orfici, vale per i vangeli cristiani – al fine di potersi presentare come i realizzatori della vera tradizione.
Nella religione dell’Iran antico sono stati proposti due salvatori, uno è lo stesso Zarathustra (Saoshyant, alla fine dei tempi, nasce dal seme di Zarathustra conservato in un lago dove si bagnerà una vergine che ne resterà fecondata), l’altro è Mithra.
Dunque una più accentuata valorizzazione di Mithra è congeniale, per così dire, con una riscossa reazionaria tradizionale (nello zoroastrismo ortodosso egli è soltanto un grande demone positivo aiutante di Ohrmazd), e come l’iniziativa di Zarathustra rientra nella grande ondata di svalutazione del rito a favore della maggiore potenza dell’interiorità25 così Mithra si ripropone come il grande signore dell’azione, come il modello dell’azione sacra, come colui che recupera il valore insopprimibile dell’azione rituale. Mentre per Zarathustra il rito prolunga l’efficacia delle forze cosmiche dominanti nel mondo e va pertanto ridimensionato, Mithra insiste sulle possibilità di salvazione scaturenti proprio dall’incontro-scontro con le forze infere.
Sembrerebbe perciò che, alla fin fine, si debba dare credito proprio a quanto traspare dalla notizia di Plutarco ( de Is. , 46), che la religione persiana contempli il culto di due divinità avversarie, alle quali si tributano due generi di sacrifici – su prescrizione erroneamente attribuita al mago Zarathustra – . Ora, dal momento che Mithra si colloca come mediatore tra i due principi del bene e del male in conflitto, ne conseguirebbe che questo suo ruolo dovrebbe esercitarsi anche nel rito. In tale caso resterebbe da capire in che modo con Mithra il sacrificio contempli anche e essenzialmente un incontro mediatore con il dio del male e la questione investirebbe direttamente il nucleo intrinseco del mistero.
Nel Bundahshn , libro della cosmogonia in 36 capitoli, redatto in lingua sacerdotale pahlavi nel IX-X secolo durante il dominio abasside dopo la conquista araba dell’Iran, si trova una rielaborazione letteraria della dottrina zoroastriana. In questo testo compare un passo secondo il quale l’uccisione del toro fu compiuta all’inizio da Ahriman, il quale attacca la creazione e avvelena le acque e la vegetazione.
In altro luogo, il testo avestico prevede che il Salvatore (il Saoshyant, identificato con Mithra) alla fine ucciderà anche egli un toro per comporre la bevanda di immortalità «mescolandone il grasso con lo haoma ».
Però nella iscrizione di Santa Prisca leggiamo che il sacrificio è già avvenuto ( seruasti è al tempo perfetto) e forse si deve intendere che per i mitraisti si sia già entrati nella epoca della fine dei tempi; del resto è proprio delle escatologie il ripetere gli atti dell’inizio per revocarne e mutarne l’effetto.
La tardività della redazione pahlavi non è ragione sufficiente per ritenere non appartenente alla tradizione iranica la dottrina che il sacrificio cosmogonico sia stato compiuto da Ahriman. In attesa che gli specialisti decidano inequivocabilmente sulla questione, si può tuttavia ammettere fino da ora che la struttura del dio Mithra non sarebbe modificata dal fatto che in illo tempore il toro sia stato ucciso dallo spirito antagonista. È evidente che la presenza delle due varianti circa il vero uccisore del toro appare intollerabile solo a partire da un presupposto monoteista. Anzi, le apparenti oscillazioni possono costituire proprio dei segnali di una tensione diteista o antimonoteista (nelle dottrine più arcaiche il creatore primario viene contrastato da un avversario).
Zarathustra, il grande riformatore religioso autore di una energica intensificazione monoteista, proibì il sacrificio cruento, ma non riuscì a eliminare quello dello haoma la cui preparazione prevede l’uso del grasso (o del sangue?) del toro e di conseguenza comporta che comunque un toro venga ucciso.
Per Turcan26 il rimprovero di Zarathustra ai sacrificatori di buoi di volere in tale modo allontanare da sé la morte ( Gatha Y 32) rivela che già nella ritualità precedente era presente un sacrificio positivo non legato a Ahriman.
Secondo Philiph G. Kreyenboeck27, Mithra è l’autore del sacrificio positivo con il quale si apre la creazione in un mito indoiranico prezoroastriano che avrebbe conservato la tradizione originale della cosmogonia: a suo avviso, Yasht 13 «contiene tracce di un mito cosmologico che si distacca nel fondo dai racconti molto zoroastrianizzati del Bundahshn e si accorda con l’evidenza vedica per la quale il presente stadio del mondo (il secondo) è emerso per un atto di liberazione, e per la quale il primo stadio è inferiore a questo»28. Durante il primo stadio, infatti, il cielo schiacciava la terra e i prototipi della creazione stavano immobili in uno spazio stretto.
Anche per la religione zoroastriana, all’inizio, prima del secondo atto creativo (quello dell’attacco di Ahriman, a causa del quale il mondo cade nella mescolanza con le tenebre), il cosmo è immobile. La differenza della tradizione più antica con lo zoroastrismo consiste nel fatto che mentre per questo il secondo atto creativo introduce in una fase di caduta – e è opera del principio del Male (di Ahriman che, fra l’altro, uccide il Toro) –, per quella il secondo atto inaugura il regno della luce – e è opera di Mithra –.
Nei Veda (in cui Indra finirà per assorbire le funzioni creative originali di Mitra), il Sole e le Vacche erano inizialmente chiuse nella pietra – ashman – ; allora il cielo era considerato di pietra e il senso dell’affermazione di RV . 7. 88. 2 è che un cielo di pietra serrava il Sole e le Vacche, come una caverna29. Il ruolo di Mithra signore delle vaste praterie (del cielo) di esemplare apritore del regno della luce, in definitiva di Sole levante, è ampiamente confermato dagli studi30.
Si deve considerare che anche il sacrificio mitraico rientra, con la sua specifica proposta, nel quadro innovativo che consegue alla crisi del sacrificio tradizionale. D’altronde esso non viene compiuto effettivamente ma celebrato solo simbolicamente (come peraltro anche presso neopitagorici e neoplatonici). Bisogna tuttavia intendersi sul concetto di simbolico, che non equivale affatto a quello di fittizio; anche il sacrificio della messa cristiana si presenta in vesti simboliche ma viene considerato reale dai suoi fedeli.
I mitrei non sono templi del dio ma di uomini che lo commemorano, e non tanto con il compiere essi stessi una immolazione quanto piuttosto con il ricordo di quella esemplare compiuta da lui. Turcan sostiene che il sacrificio mitriaco è fortemente innovativo rispetto alla consuetudine greco-romana per il fatto che l’altare non sta fuori del tempio all’aria aperta ( sub diuo ) bensì dentro l’antro al chiuso. Eppure quel dentro è una imago mundi ; di modo che spesso sul suo soffitto è raffigurato il firmamento e nella volta del mitreo di San Clemente sette fori rappresentano i pianeti.
Non pare che ci sia una differenza sostanziale tra il luogo della nascita di Mithra ( saxigenus ) e il luogo del suo atto supremo di libertà. Inoltre, bisogna considerare che nella tradizione liturgica classica in effetti è previsto un tipo di sacrificio notturno , precisamente quello per gli eroi, cosicché non escluderei che la liturgia mitraica si innesti su una rilettura del valore di quella arcaica consuetudine.
6. Mithra re
N onostante la autenticità della tradizione che fa uccidere il toro da Ahriman, resta assolutamente indubbio che anche Mithra uccida il toro e se non bastassero le notizie sulla dottrina soccorrerebbero i numerosissimi documenti archeologici.
Mithra riassume forse su di sé Ahriman per mutarlo di segno? Eppure egli non era e non è un dio privilegiato, per così dire, dal monoteismo, un dio al quale spetti di eliminare il dualismo (o il diteismo) assorbendolo in sé, come compete alla figura rielaborata del Signore Sapiente da Zarathustra.
Forse Mithra e Ahriman hanno qualcosa di essenziale in comune? Le due varianti del testo avestico possono essere entrambe autentiche salvo prova contraria, però difficilmente possiamo immaginare il mitraismo a Roma come un culto nero, ancorché apotropaico.
Plutarco ( de Is. , 46) sostiene che il mago Zarathustra insegnò che si dovessero «celebrare riti lugubri e apotropaici» al dio dell’oscurità e dell’ignoranza Arimanios. Il Mithra introdotto a Roma soddisfa una esigenza romana diffusa, e se qualcosa nel fondo della sua storia lo accomunasse al dio del male anche questo dovrebbe soddisfare la stessa esigenza. Sgombriamo tuttavia in via preliminare il campo dal sospetto che una eventuale componente rituale dei misteri di Mithra rivolta alle tenebre e al male (il versante nero di Saturno?) possa venire confusa con una grossolana superstizione. Se ci fosse realmente, tale componente andrebbe individuata nella struttura stessa del dio salvatore.
In effetti Mithra risulta innanzitutto un mediatore a partire dal senso di stringitore di contratti che caratterizza la sua primitiva figura iranica. E, nel quadro in cui egli si muove, il principale problema della mediazione concerne la principale divaricazione dualistica in atto, quella tra il Signore Sapiente Ormazd e il suo avversario cosmico Ahriman. Bisogna afferrare in tutti gli aspetti e in tutte le relazioni interne il complesso religioso mitraico riflettendo sulla natura profonda del «Mithra iranico, il mesìtes31, colui che osserva e promuove il trattato regolante il conflitto tra Ormazd e il suo nemico, e che è nello stesso tempo – e per la medesima motivazione – giudice e combattente contro il male e il maligno»32.
Per Turcan33 la definizione di Plutarco rappresenta una tappa della influenza della dottrina platonica della mediazione che spinge la figura di Mithra fuori dall’originale iranico facendone un demiurgo. Il mediatore platonico per eccellenza è Hermes-logos e già Varrone aveva fatto derivare il nome di Mercurio (con cui fu notoriamente identificato lo Hermes greco) dalla idea che si trattasse di un dio medius currens .
Turcan prende le mosse dalla tesi di Stig Wikander che aveva decifrato e sciolto l’attributo di Mesoromasdes , con il quale il Gran Re persiano invocava il sole come mediatore tra il mondo della luce e il mondo delle tenebre, in Mithra-Ohrmazd . Il documento essenziale dell’avvenuta affermazione di un Mithra mediatore si ritroverebbe nella equazione Apollon-Mithra-Helios-Hermes con la quale viene designata (I sec. a. C.) una statuadel tempio di Nemrud Dagh, nella Commagene, sede di un culto a forte caratterizzazione astrologica del re defunto divinizzato.
D’altronde stabilire legami con il male non vuole dire sottomettersi a esso; il male – anzi – si può combattere efficacemente solo incrociandolo in un contatto stretto e costringendolo entro delle regole. In proposito non va dimenticato che, per Zarathustra, Ohrmazd ha creato il mondo votandolo segretamente alla catastrofe per attirarvi Ahriman a combattere come in una trappola, di modo che il semplice rispetto delle regole che trattiene Ahriman in quel campo di battaglia contiene in partenza la sua sconfitta finale.
Il grande demiurgo si impone soprattutto come il supremo detentore della potestà regale e della ars regia , che è l’arte di manipolare vittoriosamente il male34. Mithra il mediatore , collocato tra il sole superiore e il sole inferiore (Cautes e Cautopates), celebra il trionfo della faccia diurna e vitale del sole su quella mortifera e notturna. Nato nel solstizio d’inverno (saturnino) si afferma nell’equinozio di primavera, tipico della mondanità trionfante. Non si tratta infatti della vittoria di un dio lontano, al contrario egli è nel mondo e lo governa, lo regge, lo salva. Egli è il dio della vita attiva per eccellenza, non muore, non deve resuscitare; egli è semplicemente, da eternamente giovane, un combattente vittorioso.
Colui che si colloca nel punto in cui si compie l’atto fondamentale può essere dunque uno spirito della rottura o uno spirito della salvezza. La differenza fra i due non è data dal mero compimento di atti diversi, perché l’atto rimane lo stesso, l’uccisione del toro cosmico; la differenza è data dal senso che si imprime a questo stesso atto. Il sangue può alimentare animali immondi e può salvare, et nos seruasti ( a ) eternali sanguine fuso .
La esigenza di andarsi a collocare in quel punto cruciale non compete a uno spirito volto alla contemplazione, o sacerdotale, ma a uno spirito squisitamente attivistico e regale. Il centro dal quale il mondo può disperdersi e può salvarsi viene occupato da un dio dell’azione e non da un deus otiosus . Non un sovrano lontano dagli affari complessi e attuali del governo, bensì un re che ne sa affrontare le terribili fatiche e le conseguenti inevitabili battaglie35. Ora, il dio che sta dietro la funzione regale, dietro la funzione che si immerge fattivamente nelle cose del mondo degli uomini, dietro la mediazione , è un dio signore della morte. Esso può essere Ahriman, ma può essere Mithra il Saoshyant. Nell’incendio escatologico che affonderà il mondo, Mithra il Giudice farà risorgere tutti gli uomini e li dividerà in definitivamente mortali e immortali, resi tali dalla bevanda di immortalità, la più regale delle bevande, il vino, acqua di vita, simbolo del sangue del toro sacrificato.
L’ideologia mitraica riguarda il senso del conflitto paradigmatico e tocca il grande problema delle potenzialità creative e salvifiche dell’uccisione o del gesto cruento correttamente orientato (problema che occupa il centro delle ideologie degli kshatriya , militari e governanti, depositari della funzione solare).
Va tuttavia rilevato che lo spirito romano classico non è certo favorevole all’atto del singolo, essendo piuttosto per la sacralità della comunità orientata nel suo territorio con i suoi dei, vale a dire per la urbs . Roma non poggia né sulla idea di razza né su una religione esclusiva bensì sulla legge e la conseguente gerarchia.
Con il mitraismo e il cristianesimo primitivo l’accento si spostava dalla urbs alla parte. Vale in proposito la riflessione di Pettazzoni, per il quale i misteri come religioni dell’individuo appaiono in contrasto con la religione dello stato e della città perché nascono da istituzioni che precedono la formazione degli stati.
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NOTE:
*) Si può esprimere una tesi sostanzialmente nietzscheana sia facendo del mitraismo la religione dell’eterno ritorno (Turcan, Beck, Couliano,…) sia sostenendo che lo spirito religioso cristiano originario viene dall’Iran (la Religiongeschichtlicheschule può non essersi mossa per diretta ispirazione dello Also sprach Zarathustra ma rientra a pieno titolo nella vasta corrente che ridiscusse in profondità le radici del cristianesimo nello scorcio del secolo scorso e che ebbe in Nietzsche uno dei più radicali rappresentanti). Va tuttavia rilevato che lo spirito romano classico non è certo favorevole all’atto del singolo, essendo piuttosto per la sacralità della comunità orientata nel suo territorio con i suoi dei, vale a dire per la urbs. Roma non poggia né sulla idea di razza né su una religione esclusiva bensì sulla legge e la conseguente gerarchia. Con il mitraismo e il cristianesimo primitivo l’accento si spostava dalla urbs alla parte. Vale in proposito la riflessione di Pettazzoni, per il quale i misteri come religioni dell’individuo appaiono in contrasto con la religione dello stato e della città perché nascono da istituzioni che precedono la formazione degli stati.
1) A S. Prisca, invece, Mercurio protegge i Persiani e la Luna i Corvi.
2) Mithra et le mithriacisme, Paris 1993 (I ed. 1981), p. 82-83. Va tuttavia osservato che l’ordine completo delle tutelae dei sette gradi non corrisponde a nulla di astronomicamente noto
3) Giuseppe Lampis, Maschera e daimon, «Atopon», IV (1996), pp. 17-32.
4) Raffaele Pettazzoni, I Misteri: Saggio di una teoria storico-religiosa, Bologna 1924, n.va ed. Cosenza 1997, p. 159-160.
5) Walter Burker t, Structure and History in Greek Mithology and Ritual, University of California 1979, tr. it. Mito e rituale in Grecia: Struttura e storia, Bari 1987, ed. 1996, cp. IV, pp. 125-156.
6) Richard L. Gordon, Mystery, metaphor and doctrine in the Mystery of Mithras, in J. R. Hinnells (ed.), op. cit., p. 111.
7) Questo termine per lo studioso significa mangers – greppie – oppure stalls or byres – ricoveri per bestie –, op. cit., p. 115.
8) In the place of the Lion: Mithras in the tauroctony, in J. R. Hinnells (ed.), op. cit., pp. 29 ss.; ma dello stesso v. Planetary Gods and Planetary Orders in the Misteries of Mithras, Leiden 1988.
9) Op. cit., p. 117.
10) Op. cit., p. 115.
11) Op. cit., p. 121.
12) Burkert, op. cit., p. 191.
13) V. in proposito la pittura parietale del santuario di Çatal Hüyük, Turchia, fine VII millennio a. C. considerata da W. Burkert, op. cit., p. 191, una “conferma” del rituale arcaico, peraltro collegato con personaggi mascherati.
14) Il paragone di Mithra con Cacus è già noto al poeta latino cristiano Commodiano, del III sec., – apud Turcan, op. cit., p. 97.
15) Triplice Mithra per lo Pseudo-Dionigi, Ep., 7, in quanto associato a Cautes e Cautopates, epifanie del Sole levante e calante.
16) I Greci vedevano giacere sulla groppa del toro celeste le Pleiadi, le colombe cacciate da Orione-Scorpione. Una identificazione di Mithra con Orione nel quadro degli studi che hanno valorizzato l’interpretazione astrologica della principale scena del culto mitriaco è stata proposta da Michaël P. Speidel, Mithras-Orion: Greek Hero and Roman Army-God, Leiden 1980.).
17) Sono altresì identificati con la luna il soma indiano e lo haoma iranico, bevande di immortalità.
18) Op. cit., p. 49.
19) Op. cit., p. 139.
20) Op. cit., p. 107.
21) The Origins of the Mithraic Mysteries: Cosmology and salvation in the Ancient World, New York-Oxford 1989 ).
22) Op. cit., p. 108.
23) Op. cit., pp. 95 ss.
24) Mithras and the hypercosmic sun, in J. R. Hinnells (ed.), op. cit., pp. 257-264.
25) Questa linea emerge all’interno della svolta che caratterizza i secoli VII-VI a. C. dall’Oriente all’Occidente, con le Upanishad, l’Iran riformato, i primi pensatori greci, i profeti ebrei, il Buddha, Confucio. La svalutazione dei sacrifici rientra in un disegno di spiritualizzazione del conflitto con il male. Dal momento che al male viene negato lo statuto ontologico di forza indipendente e oggettiva, per Zarathustra esso si riduce a una opzione della dialettica interna dell’unico vero Signore dell’universo. Il male appare come una proiezione del dio unico e non come un altro dio a lui irriducibile e contrapposto. Per questa ragione la grande battaglia ha natura spirituale e non può venire decisa con i sacrifici, i quali si muovono incrociando su un piano diverso e incongruo. Inoltre Zarathustra proibì la antica usanza di sacrificare al dio del male; come si capisce, si tratta dello stesso coerente disegno.
26) Eppure dietro questo nome potrebbe celarsi, e in tal caso non ci sarebbe errore, una casta e una funzione collettiva e non soltanto il riformatore.
27) Op. cit., p. 105.
28) Mithra and Ahreman in Iranian Cosmogonies, in J. R. Hinnells (ed.), op. cit., pp. 173-182.
29) Op. cit., p. 177.
30) Op. cit., pp. 178-9, v. anche nn. 21 e 22.).
31) V. anche Jean Kellens, La fonction aurorale de Mithra e la daênâ, in J. R. Hinnells (ed.), op. cit., pp. 165-171.
32) = mediatore: Plutarco, op. cit., 46), colui che osserva e promuove il trattato regolante il conflitto tra Ormazd e il suo nemico, e che è nello stesso tempo – e per la medesima motivazione – giudice e combattente contro il male e il maligno “.
33) Ugo Bianchi, Il dualismo religioso, Roma 1966, ed. 1991, p. 168.
34) Mithras platonicus, op. cit.
35) Si tratta della funzione magica, tipica della funzione sovrana. V. Georges Dumézil, Les dieux souverains des Indo-Européens, Paris 1977.
36) V. anche di Robert Turcan, La royauté de Mithra, in G. Sfamen i Gasparro (a c. di), Studi storico-religiosi in onore di Ugo Bianchi, Roma 1994, pp. 361-372.