L’anello magico alla Collegiata di Sant’Orso

Ezio Albrile

mosaico_collegiataAlla Collegiata dei SS. Pietro e Orso ad Aosta, fa bella mostra di sé celato sotto una teca di vetro, un mosaico che appartiene alla fase più antica della chiesa (XII sec.). Scoperto durante gli scavi del 1999, ha forma quadrata, gli spigoli ordinati secondo i quattro punti cardinali, mentre, racchiusa in diversi anelli ornamentali, nel tondo centrale spicca la scena biblica di Sansone che smascella il leone (fig. 1). Un tema, quello delle gesta di Sansone, presente in un altro importante mosaico romanico ritrovato nel presbiterio della cattedrale di Santa Maria ad Asti. In ciò l’arte romanica sembra cristianizzare le più note fatiche di Eracle e, nel caso di Aosta, la lotta fra Eracle e il leone nemeo.

L’anello più esterno contiene un’enigmatica iscrizione composta da due versi: Interius Domini domus hec ornata decenter / Querit eos qui semper ei psallant reverenter «L’interno della casa del Signore è adeguatamente ornato. Egli cerca chi sempre inneggia a lui con venerazione».

Il senso della frase diventa palese osservando con attenzione il manufatto, scorrendo lo sguardo dall’esterno verso l’interno. Dopo un altro, più ampio anello ornato da una commessura di nodi, c’è una seconda, più misteriosa iscrizione che recita: ROTAS OPERA TENET AREPO SATOR. Le parole sono disposte da destra verso sinistra, in senso orario, affinchè giunti all’ultima lettera, la frase possa leggersi, specularmente, al contrario. Sono le parole del famoso quadrato magico, che nella sua forma più nota SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS si ritrova nell’antichità cristiana associato al Padre Nostro e alla croce. La loro posizione rende la frase ciclica, palindroma, cioè possibile di esser letta in entrambi i sensi. Prendendo per buona l’ipotesi che l’espressione sia scritta in latino, dovrebbe tradursi così: «Il seminatore con l’aratro, tiene in opera le ruote». Sullo sfondo si scorge l’idea di un Dio creatore in piena attività, un demiurgo che svelle e tiene in movimento le zolle del mondo. La frase chiarisce anche il senso della prima iscrizione, dove è detto che Dio cerca «chi sempre inneggia a lui con venerazione». Il salmodiare continuo equivale a mantenere in vita il cosmo, e collima con l’esortazione di San Paolo a «pregare incessantemente».

Il ritrovamento di esemplari greci del quadrato magico fa presupporre che il costrutto latino sia stato adattato in un secondo tempo. Così sembra di capire leggendo Plutarco, De Iside et Osiride 56, nonché compulsando un antico manoscritto greco (Bibl. Nat. Par. n. 2411, fol. 60 = DACL, col. 1815), che volge in greco il medesimo significato: ho speirōn arotron kratei erga trochous «il seminatore con l’aratro tiene al lavoro le ruote». In piena idolatria barocca, il frenetico filologo e gesuita Athanasius Kircher sospenderà il giudizio sulle parole del quadrato, in bilico se considerarle una preghiera araba o il frutto esoterico di un «Mago Cabbalista» (Arithmologia sive de abditis numerorum mysteriis, Romae 1665, p. 220).

Ai quattro punti cardinali, cioè tra i bordi del quadrato e l’anello della prima cornice, troviamo le figurazioni di un piccolo leone, di un uomo-pesce con in mano un serpente, di un drago e di un’aquila bicorporea. Sembra un particolare adattamento del Tetramorfo di Ezechiele (Ez. 1, 14-15), cioè i quattro viventi di Apocalisse 4, 6-7, simboli degli Evangelisti: leone, toro, angelo e aquila. Notiamo che il Drago ha sostituito il Toro, con probabile allusione alla omonima costellazione le cui enormi spire si estendono da Est a Ovest (Arato, Phaen. 24-62) e lambiscono il Polo Nord. Mentre l’uomo-pesce che regge il serpente ha sostituito l’angelo. È il secondo Serpente, figlio del primo, il Drago, serrato nelle mani della costellazione eponima, Ophiuchos il «Serpentario». In antiche cerchie gnostiche il «Serpentario» era identificato con il Logos (Hipp. Ref. 4, 47, 1-2 [Wendland, p. 69, 7-20]), che agiva contro entrambi i poteri cosmici negativi, cioè i due Serpenti-Draghi.

Il Logos salvatore, cioè Ophiuchos combatte contro il Serpente impedendogli di conquistare la Corona (l’omonima costellazione) riservata all’uomo (Hipp. Ref. 4, 48, 5-7 [Wendland, p. 71, 16-25]). Il Drago s’insinua fra le due creazioni, impedendo loro di comunicare, precludendo di fatto all’uomo ogni via verso la salvezza. È probabile che il mosaico della Collegiata riproponga questa esegesi esoterica. E proprio in questa linea interpretativa deve leggersi la presenza della citata frase magica e del Sansone biblico, in cui rivive l’Eracle astrale, cioè la costellazione di Engonasin, l’«Inginocchiato» (Arato, Phaen. 63-70), identificato da alcuni con Eracle intento a combattere il Drago che custodisce il Giardino delle Esperidi (Eratosth. apud Hyg. Astr. 2, 6, 1). Secondo gli antichi gnostici, l’«Inginocchiato» è lo stesso Adamo (Hipp. Ref. 4, 47, 4-5 [Wendland, p. 70, 1-10]), il protagonista del racconto genesiaco (Gen. 3, 15), effigiato mentre «sorveglia la testa del Drago, e il Drago sorveglia il suo calcagno».

Pieve Terzagni - Chiesa S.Giovanni Decollato - Mosaico pavimentale
Pieve Terzagni – Chiesa S.Giovanni Decollato – Mosaico pavimentale

Passando al quadrato SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS e alla croce che ne deriva (fig. 2), consideriamo nell’antichità la presenza e la funzione salvifica della croce nelle sue molteplici forme. C’era la crux ansata, la ankh geroglifica che per gli Egizi designava la vita, e nel mondo romano divenne simbolo dell’esistenza futura (Sozm. Hist. eccl. 7, 15). E c’era la crux gammata, lo swastika, la croce solare, ciclica. Entrambe erano utilizzate nel culto alessandrino di Aiōn, i sacerdoti stessi le recavano, tatuate, su varie parti del corpo. Queste pictografie erano i «cinque sigilli di Aiōn» all’origine di una complessa cerimonia, narrata da Epifanio (Pan. haer. 51, 22, 9 [Holl II, Leipzig 1922, pp. 285, 11-286, 7]).

Ogni anno nel Koreion di Alessandria, cioè nel tempio di Iside-Korē, nella notte tra il 5 e il 6 gennаio, veniva celebrato il rito della nascita di Aiōn. Adepti e sacerdoti vegliavano la statua del dio – un giovane imberbe e nudo – cantando inni accompagnati da un flauto. Trascorsa la notte, al canto del gallo alcuni dadofori scendevano nell’ipogeo e mettevano il simulacro in legno del dio su di una portantina. La statua recava cinque sigilli, cinque segni della croce intarsiati in oro, uno sulla fronte, due sulle mani, due sulle ginocchia. Alla luce delle fiaccole, i dadofori giravano per sette volte intorno al sacello della dea cantando inni al suono di flauti e tamburi. Terminati i festeggiamenti, riportavano la statua nell’ipogeo. Quella notte – affermavano gli adepti – Korē, la Vergine, aveva partorito Aiōn. Iside, aveva rigenerato Osiride nella forma del pargolo Horus.

Non è quindi un caso che molti autori cristiani contestassero l’uso della croce, ritenendolo un simbolo «pagano» (Clem. Alex. Paed. 3, 11; Min. Fel. Oct. 29, 6-8; Tert. Apol. 16, 6-8). È verisimile supporre che solo a partire dal II secolo sia stata, con molte riserve, accettata come simbolo cristiano (Lettera di Barnaba 9, 8; cfr. Rahner, pp. 46 ss.). Per noi oggi la forma usuale della croce è quella quadrata (crux quadrata), con le varianti crux capitata (croce latina) e crux commissa (a forma di T), tutti simboli della crocifissione.

Ma l’originaria era la crux decussata, la lettera greca Χ (chi), cioè l’iniziale del nome di Cristo ΧΡΙΣΤΟΣ, la croce che mutò la politica religiosa di Costantino (306-337 d.C.). Secondo Lattanzio, prima della battaglia di Ponte Milvio, Costantino la intravide in sogno. L’imperatore fece quanto gli venne ordinato nella visione: «Posizionando obliquamente la lettera greca Χ (chi), ne arrotondò la parte superiore, ottenendo in tal modo il segno di Cristo sugli scudi». La lettera X (chi), disposta trasversalmente, forma una croce; la parte superiore, ripiegata a uncino, si muta a sua volta nella lettera greca Ρ (rho), il monogramma di Cristo.

Abbiamo visto che il senso della frase SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS è «Il seminatore con l’aratro, tiene in opera le ruote». In un graffito ritrovato a Pompei troviamo un’interessante correlazione: si tratta di una variante significativa del quadrato magico, che in un contesto cristiano è associato al PATER NOSTER. Qui in luogo di SATOR «seminatore», scopriamo la parola SAUTRAN, probabile riferimento all’antico dio italico SATURNUS, che traduce il greco Chronos, il Tempo, e Kronos, il Pianeta. Uno scambio peculiare, poiché Saturno è una divinità intimamente legata alla semina (Saturnia tellus). Saturnus-Kronos è il dio padre per eccellenza, padre di uomini (gens saturnia i latini) e di dèi, a partire da Iupiter-Zeus. Egli è il «padre» o «padre nostro» (Hom. Il. 8, 31; Od. 1, 45. 81; 24, 473), il sommo dio dei misteri di Mithra.

Saturnus reinterpreta il dio iranico Zurwān akanārag (< avestico Zrvan akarana), il «tempo infinito», nelle forme di Kronos/Chronos agēraos («Tempo senza vecchiaia»), Aiōn, Saeculum. Talvolta è un vecchio con una falce nella mano destra e l’Ouroboros nella sinistra, perché nello scorrere del tempo l’ultimo mese di ogni anno raggiunge il primo dell’anno successivo, proprio come si congiungono la testa e la coda del serpente ciclico. Nelle fattezze di Aiōn è rappresentato come un giovane o un vegliardo con in mano una ruota. Saturnus è il vetusto Aiōn, così come lo dipingono Nonno di Panopoli (Dionys. 7, 24-25. 41-44; 41, 179-182) e Claudiano (De consul. Stilich. 2, 433-440): ogni anno il suo corpo invecchia d’inverno e ridiventa giovane in primavera; plasticamente egli è un essere zoomorfo in continuo cangiamento con il mutare delle stagioni, il suo capo passa dalle fattezze di serpente (freddo), a quelle di leone (caldo), mentre nel rigore, nella furia degli elementi ha la bocca ricoperta dalle zanne di un cinghiale. Come Saturnus-Aiōn, nei misteri di Mithra è figurato con la testa di leone, ali, avvolto nelle spire di un gigantesco serpente. In questa forma reca nelle mani un paio di chiavi, ha piedi zoomorfi e il corpo cosparso con i segni dello Zodiaco. In altre rappresentazioni ha saette alle mani, il vajra del buddhismo tantrico, occhi infuocati che emergono dalla maschera leonina. Quale dio del tempo, Saturnus-Aiōn è dio dell’inizio e della fine: è il signore dell’età aurea (Hes. Op. 110-120) e tornerà ancora nei tempi ultimi per instaurare il Saturnium regnum.

La stagione sacra agli dèi Saturnus, Sol e Aiōn è la fine dell’anno vecchio e l’inizio di quello nuovo: i Saturnalia o Kronia. Il genetliaco del Sole (Sol invictus) cadeva il 25 dicembre. Così avveniva anche in Egitto alla nascita di Kronos, e il 6 gennaio ad Alessandria alla nascita di Aiōn.

C’è un legame intimo fra i culti di Aiōn, di Saturnus e di Sol: tutt’e tre sono differenti manifestazioni del medesimo dio, il Dio degli inizi e dei tempi ultimi. Non a caso la partizione della settimana, configurata sulla ebdomade planetaria e impostasi con il diffondersi del verbo cristiano dal IV sec. d.C., inizia con la Domenica, cioè con il giorno del Sole, il «giorno del Signore», e termina con il Sabato, il giorno di Saturno (primo e ultimo).

Quadrato magico
Quadrato magico

La divinità solare è triplice: il dio tricefalo dei Galli, il Corridore trace dalle tre teste, il Cerbero di Serapide che con le sue tre teste rappresenta il passato, il presente e il futuro (Macrob. Sat. I, 20, 13-14; Pettazzoni, RA 1948, pp. 803-809). Un mosaico ritrovato nel 1939 ad Antiochia, datato alla metà del III sec. d.C., presenta una scena esemplare. Un vecchio Aiōn con baffi e barba folta regge nella mano destra una grande ruota, forse il cerchio dello Zodiaco. Alla sua destra, di fronte a un altare con un turibolo, stanno tre personaggi, i tre Chronoi: il primo anziano dalla barba bianca, chiamato Parōchēmenos («passato»), il secondo adulto e con la barba scura, Enestōs («presente»), l’ultimo un adolescente imberbe, Mellōn («futuro»). I tre tempi relativi alla vita umana, i tre momenti del divenire rendono omaggio, celebrano liturgicamente il Tempo infinito, assoluto. Siamo ad Antiochia, la grande metropoli asiatica, snodo, fulcro di diffusione del primo cristianesimo. Le idee del tardo ellenismo si mescolano alla nuova fede e danno origine a capolavori mitopoietici come l’Apocalisse di Giovanni. In modo specifico Apocalisse 1, 8. 18 rivela singolari riminiscenze con la famosa iscrizione di Eleusi che invoca Aiōn come opoios esti kai hen kai estai, archēn mesotēra telos ouch echon, metabolēs ametochos (Dittemberg, SIG3, 1125 = CIMRM I, # 2349).

La parola centrale, la terza, del quadrato magico è TENET, che principia con la T, lettera che è segno della crux commissa o della crux quadrata. Entrambe, s’è appurato nella visione di Costantino, riconducibili alla originaria crux decussata, la lettera greca Χ (chi), iniziale del nome di Cristo ΧΡΙΣΤΟΣ, ma anche di ΧΡΟΝΟΣ, Chronos, il Tempo infinito (Chronos agēraos). ROTAS, entra in questa costellazione di significati, poiché allude alla «ruota» solare, l’eterno ricorrere delle ére, scandite da cicliche ekpyrosis, abbruciamenti del cosmo a cui allude anche Platone in Politico 269 a, quando egli dice che in un tempo passato il Sole e gli astri «dove ora si levano allora tramontavano, mentre sorgevano dal punto opposto». In tale contesto si precisa il senso di AREPO. Il latino arepus/arepum può, a seconda dei casi, voler dire «campo» o «aratro», rinviando al significato, già pienamente acquisito, del dio seminatore-creatore che guida operosamente le ruote nel campo-cosmo.

Il mosaico di Aosta non è un caso nel panorama dell’arte romanica, un altro notevole esempio è nei pressi di Cremona, a Pieve Terzagni frazione del comune di Pescarolo e Uniti, nella chiesa di San Giovanni Decollato (fig. 3). Qui il presbiterio è ornato da uno stupefacente pavimento musivo dell’XI sec. al cui centro spicca il nostro quadrato magico (cfr. W. O. Moeller, The Mithraic Origin and Meanings of the Rotas-Sator Square [EPRO, 38], Leiden 1973).

Ezio Albrile


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