1
L’origine dell’umanità mortale
Presso i greci antichi la questione della nascita dell’uomo si formula paradossalmente nei termini della questione della nascita della morte. Dato che l’uomo viene pensato come colui che essenzialmente muore, il pensiero della natura dell’uomo equivale al pensiero della natura della morte.

Questa saldatura fa sì che il significato della morte prenda risalto, reciprocamente, dal significato della nascita. Per questa ragione non esiste e non può esistere né un’antropologia né un’antropogonia a sé e il racconto dell’origine dell’uomo fa parte di un racconto generale sulla nascita del mondo nel suo insieme.
La morte dell’uomo di cui si tratta non è la morte in genere bensì quel certo tipo di morte che caratterizza l’umanità attuale. Gli uomini morivano anche prima che morissero di questo tipo speciale di morte, ma in altro modo.
In effetti, presso i Greci non si pone una dottrina univoca della morte perché correlativamente non si immagina un “primo uomo”, si daranno invece tante morti quante sono le varietà di umani.
L’inaugurazione dell’umanità attuale non si compie con la semplice introduzione della morte, tutto ciò che nasce muore, e l’umanità attuale non comincia con l’inizio dell’uomo, essa comincia con l’arrivo di una particolare specie di morte.
Avedere le cose in questa maniera non è solo la tradizione greca. Nel libro ebraico della Genesi Adamo non è esente dalla morte di per sé, tutto ciò che nasce muore, la creatura Adamo non è immortale e sarebbe comunque morto pure se il Genesi non ci dice come. Si riferisce di una doppia creazione, di un Adamo di luce (1, 26) e di uno di fango (2, 7), ma nemmeno quello di luce è intrinsecamente refrattario alla morte. Non sarà la stessa di colui che è “il rosso”, sarà la caduta di Lucifero.
Tanto il primo uomo, immagine di Dio, sarebbe morto che il suo peccato consiste proprio nel tentativo di mangiare il frutto dell’albero della vita nel giardino in cui il Primo Creatore lo ha collocato. Se ci fosse riuscito, secondo che il drago guardiano del giardino gli spiega, da copia sarebbe diventato uguale a Dio: avendo già gustato il frutto dell’albero della sapienza, avrebbe unito in sé sapere e vita eterna.
Il suo è stato un peccato di superbia, di ybris? La sorte degli sconfitti è di passare per criminali. Adamo disubbidisce e commette un imperdonabile crimine di disubbidienza, gli altri esseri primordiali che invece hanno successo e rovesciano, cruentemente, il primo sovrano del mondo diventano il fondamento dell’ordine giusto.
In conclusione, sembra che sia il racconto della nascita a contenere il racconto della morte, mentre è l’esigenza di spiegare in che consiste la morte che si proietta all’indietro a condizionare il racconto della nascita.
2
Arrivo dell’orfismo
Nella Grecia antica le esposizioni più organiche e sistematiche di un’antropogonia generale sono due: la Teogonia di Esiodo e l’orfismo. Nel valutare in che rapporti le due correnti stanno fra di loro, è importante valutare in che rapporti stanno con la tradizione olimpica di cui in Omero.
È sbagliato dare per scontata una sequenza schematica e scolastica. Esiodo è molto legato a Omero ma la sua rappresentazione contiene elementi affini a quelli orfici e punti di contatto interessanti perfino nella curvatura d’insieme.
Non è chiaro se ciò dipenda da una irruzione dell’orfismo alla maniera di un corpo estraneo infettivo o se la sua penetrazione abbia trovato una certa congenialità in componenti essenziali della religione esiodea e le abbia adattate in una sintesi feconda.
La mistica orfica ha una forte essenza sciamanica e per questo non può essere più recente della religione olimpica. Dioniso, che sta al centro dei misteri orfici, è un grande dio preomerico originariamente connesso con l’estasi.
Dell’orfismo ci può essere, e c’è stata, una fase che va ritenuta tarda, un orfismo irrigidito, popolare, umanistico, generico; la tradizione pitagorica si distribuisce lungo un percorso secolare durante il quale si modifica e diviene involuta e si appesantisce, ma c’è un pitagorismo e un orfismo arcaico che non è più tardo della religione olimpica.
In ogni caso, in materia di orfismo, la ricerca filologica ha oramai conseguito dei risultati importanti e ci permette di disporre di un quadro ben documentato, ricco, raffinato.
Il nostro tema, come abbiamo detto nell’esordio, è la ragione per la quale l’idea greca di uomo si connette con quella idea della morte che in definitiva è la nostra.
Ci occuperemo sinteticamente di questa idea, nata in seno a una delle più ricche spiritualità religiose e che non è tramontata e campeggia ancora nella cultura moderna.
3
Le generazioni primitive
La tradizione dei cicli di generazioni di uomini riportata da Esiodo è già presente nella spessa stratificazione dei poemi omerici. Nell’Iliade si trova il passo sulla decisione di Zeus di travolgere la razza degli eroi e sul suo orientamento a alleggerire la madre Terra infastidita dal peso degli umani moltiplicatisi a dismisura; nell’Odissea Penelope chiede al misterioso straniero arrivato a casa sua da dove venga, se da «quercia o da roccia», drys– petra.
Quantunque quest’ultimo cenno non corrisponda con precisione al racconto di Esiodo, l’affermazione fondamentale di Esiodo è che uomini e dei siano stati generati entrambi dalla stessa madre, Gea, la Terra.
Da diversi resoconti mitologici apprendiamo che gli uomini dei primordi sono spuntati direttamente dalla Terra gravida di vita. Così fu per un Alalcomeneo e per i vari gruppi di gnomi creativi e fallici, fabbri e guaritori ingegnosi, Dattili, Cureti, Coribanti, Cabiri, Telchini, che in corteo accompagnano la Grande Madre.
Dietro ciascuno di questi popoli delle origini mitiche è possibile riconoscere una società segreta maschile di maschere, un Männerbund, una confraternita iniziatica depositaria di una propria gelosa tradizione tecnica militare sapienziale e devota a una visione del mondo nella quale autointerpreta le sue origini.
In unione con il mito si deve pensare anche a una ritualità ; in altre parole, si deve pensare che alla visione della propria collocazione nel mondo si accompagna l’orgoglio del proprio ruolo attivo in esso e la valorizzazione del modello delle azioni e dei gesti fondamentali.
La confraternita di maschere comprende se stessa come la vera umanità e definisce il vero uomo con il proprio nome. Siamo ancora assai lontani da una visione filosofica universalistica o monistica. La posizione arcaica di un Männerbund di cacciatori assistiti e guidati da un leader sciamanico è pluralista e gerarchica. Il mondo arcaico non è omogeneo, è qualitativamente differenziato fra poteri unici e inconfondibili.
4
Le cinque stirpi di Esiodo

Un altro popolo era nato dalle Meliadi, le ninfe dei frassini, spuntate dal sangue di Urano sgocciolato sulla Terra quando la falce del titano Crono lo evirò rovesciando il governo del mondo. Nella stessa occasione da quello stesso sangue, oltre ai frassini, sorgono i Giganti e le Erinni.
Gli uomini dei frassini appartengono alla terza generazione dell’elenco di Esiodo, ma andiamo per ordine.
Esiodo non parla mai di un “primo uomo”, egli espone un’antropogonia articolata su cinque generazioni, quattro di metallo e una no. La serie è la seguente: oro, argento, bronzo, eroi, ferro.
Gli esseri della razza aurea vengono creati prima degli olimpici e stanno con Crono in cielo. Vivono beati, non soffrono alcuna fatica e sono esenti da ogni ansia. Armenti e frutti sono offerti a loro liberamente dalla Terra. Non invecchiano e muoiono addormentandosi sempre giovani al volgere di un tempo sterminato rientrando nel suolo da cui sono usciti.
Trapassando, diventano dèmoni custodi degli uomini, il poeta dice “custodi dei mortali”. Procacciano la ricchezza e ispirano la giustizia. In breve, la situazione civile dei viventi e dei loro antenati si svolge sotto il segno di questi progenitori che hanno conseguito la beatitudine.
La seconda razza fu creata dagli olimpici. Sono gli uomini d’argento, assai inferiori ai primi. Nella loro epoca, il figlio restava per cento anni accanto alla madre e dopo il distacco durava pochissimo e fra le sofferenze. Assetati a dismisura di dominio, erano permanentemente in conflitto reciproco, non sacrificavano agli dei e Zeus li sprofondò nelle viscere della terra, dove continuano, anch’essi venerati per beati dagli abitanti di sopra.
La terza fu la razza di bronzo, che Zeus trasse dai frassini. Duri di anima, dalla muscolatura possente, terribili combattenti, non “mangiatori di pane”, aggressivi, violenti, guerrafondai, si liquidarono da soli piombando nell’abisso.
A questo punto, fu il turno degli eroi, che persero la vita nelle guerre mitiche di Tebe e di Troia.
Infine, la quinta razza degli uomini di ferro, cupa, ingiusta, con bambini che nascono già vecchi, protagonista di una decadenza inarrestabile, è l’umanità in atto di cui il poeta non parla per la disperazione di dover vivere sotto il suo primato.
5
I Veglianti custodi
Gli eroi trapassati sono stati assegnati, per l’intrinseca giustizia del loro animo, a Crono re delle Isole dei Beati. Il Crono oramai liberato da Zeus che ha consolidato il suo trionfo.
Laggiù essi sono i Veglianti custodi, trasformati in “puri dèmoni terrestri benevoli difensori dai mali e custodi degli uomini mortali” (Esiodo, Op.122 s).
Eraclito li ha riproposti nel frammento 63 (Ippolito, Ref. 9, 10, 6): “e di fronte a lui, che sta laggiù, si drizzano, e diventano custodi che vegliano sui vivi e sui morti.”
Anche il grandioso affresco cosmogonico della Bibbia contiene, e in modo nemmeno troppo dissimulato, una sequenza di razze sul genere indiano e esiodeo.
Ci sono nel Libro dei Libri varie umanità che scompaiono catastroficamente dopo essersi caratterizzate per un ethos loro particolare.
La prima è la razza di Adamo e Eva sciolta nel diluvio e dal diluvio esce la seconda del nuovo uomo Noè.
Le altre sono scandite dall’esodo di Abramo dalla terra di Ur, dal cataclisma di Sodoma e Gomorra da cui scampa Lot. Dal disastro della torre di Babele, dall’esodo dall’Egitto e dal passaggio del Mar Rosso quasi sopravvivendo con Mosè a un secondo diluvio.
6
La natura comune di uomini e dei
Né in Esiodo né in Omero vediamo il mito greco concentrarsi sulla nascita dell’uomo in generale o su un “primo” uomo. L’uomo in generale ancora non esiste e occorrerà attendere gli orfici per farne la conoscenza. Il mito greco preorfico parla della nascita di esseri divini di varie generazioni e di esseri umani, a loro simili per natura, di altrettante varie generazioni.
La differenza tra uomini e dei non dipende dalla nascita da fonti diverse ma da vicende successive. In principio uomini e dei, avendo natura comune, vivono assieme e soprattutto mangiano assieme.
Nel libro della Genesi (18) Abramo incontra il Signore con due angeli nel campo di Mamre. Il patriarca offre da bere e da mangiare ai tre con rispettosa ospitalità e ne riceve la promessa di un figlio nonostante che lui e Sara siano vecchi.
In Omero la comunione esemplare di dei e uomini è quella degli Etiopi e dei Feaci.
Iliade I, 423-5: “Zeus verso l’Oceano, verso gli Etiopi senza macchia ieri partì, per un pranzo; e tutti gli dei lo seguivano…”
Odissea I, 22 s: “se ne andò Poseidone fra gli Etiopi lontani, gli Etiopi che in due si dividono, gli estremi degli uomini, quelli del sole che cade e quelli del sole che nasce, per essere presente a un’ecatombe di tori e d’agnelli. Là egli godeva, seduto a banchetto…”
Odissea VII, 201-3: “gli dei ci si mostran visibili, quando per loro facciamo elette ecatombi, banchettano in mezzo a noi, sedendo dove noi siamo; e se un viandante, anche solo, li incontra, non si nascondono, perché siamo prossimi a loro, come i Ciclopi e le selvagge tribù dei Giganti.”
In Esiodo: “comuni erano i pasti, comuni i sedili agli dei immortali e agli uomini mortali” (frammento 82 Ratz.)
La comunanza di focolare e di mensa fra tutti gli uomini divini e “gli altri immortali” continua a vivere nella filosofia arcaica e nel culto eroico (Kerényi, Religione Antica).
7
Il destino diverso

Che entrambi vivano assieme per una comune natura significa altresì che entrambi sono soggetti a morire, e che non è la possibilità o l’impossibilità di morire a distinguerli. O, per lo meno, che la morte che gli uomini disgraziatamente subiscono non è tale da annullare la loro natura originale, e che il privilegio di non morire goduto dagli dei, a sua volta, non concerne la loro natura.
Mortalità o immortalità sono due diversi modi di vivere una natura che non ne viene intaccata.
Entrambi, sia gli esseri divini sia gli esseri umani, sono suscettibili di una trasformazione della propria condizione, trasformazione che si chiama morte: tuttavia il cambio non avviene in modi uguali. Da una parte, gli dei passano chi nel Tartaro, chi nelle Isole dei Beati, chi viene inchiodato a un monte, chi spinto nel sonno; dall’altra, gli uomini cambiano andando ugualmente nell’Ade e in prevalenza non diventano beati.
Uomini e dei non sono differenti per natura bensì per per destino, moira, la parte assegnata.
Dopo uno stato paradisiaco di comunione e uguaglianza, interviene un ordine nuovo con il distacco e la perdita della condizione iniziale. Da quel momento l’uomo decade e non è più libero.
La novità imposta alla natura, che in quanto tale non può essere mutata, è la sua riduzione in schiavitù. Da quel momento, la moira umana è la servitù.
La morte dell’uomo è il suo divenire servo, incatenato, bloccato.
Un conflitto, un confronto, una lotta: l’esito è l’uomo schiavo. L’uomo non è servo in quanto uomo, è servo perché ha subito una sconfitta.
Come si vede, siamo lontani dalla visione del destino post mortem di Omero, l’ombra di Achille si lamenta con Odisseo dello stato larvale in cui è sceso e esclama che piuttosto che essere re di uno stuolo di ombre preferirebbe essere l’ultimo dei servi nel mondo dei vivi.
8
Il sacrificio e il crollo
Il mito esiodeo fissa nell’invenzione del sacrificio (a Mecone) la data dello scontro e della conseguente trasformazione che inaugura la storia attuale umana.
Prometeo sacrificò un toro, lo arrostì e divise le parti con l’intenzione di ingannare gli dei. Affinchè ciò che assegnava non si vedesse da fuori, riempì di polpa per sé e gli uomini il ventre del toro e a Zeus riservò le ossa avvolte nel lucido grasso.
A Zeus che sulla base delle apparenze gli rimproverava di aver fatto una distribuzione diseguale a sfavore degli uomini rispose: “Scegli tu la parte che più ti piace!”
Il sovrano degli dei accettò di venire ingannato e poi si vendicò. Tolse il fuoco agli uomini, nascondendolo. Il tema dell’origine dell’uomo attuale si confonde con l’origine del sacrificio. Gli uomini attuali cominciano con il sacrificio.
Uguale correlazione è presente in India (Prajapati), in Iran (Mithra), presso gli ebrei e nel cristianesimo. Il centro di altissime culture è occupato dalla meditazione sul sacrificio.
Inoltre, lo stesso quadro della successione delle razze esiodee ha una corrispondenza nella dottrina indiana degli yuga.
Avvento di un certo tipo di morte, nella forma dell’inchiodamento a uno statuto subalterno e degradato, perdita della libertà, imposizione di una moira triste, sono tutt’uno.
L’Iliade fissa il crollo degli umani di tipo divino all’epoca della famosa guerra. Questo non è contraddetto da Esiodo e è conforme con Eraclito (frammento 53: “pòlemos è il padre di tutti, gli uni fece dei e gli altri uomini…”)
Gli uomini che perdono la libertà al tempo del sacrificio sono quelli della razza di bronzo, i figli dei frassini. Per gli orfici, sono i titanici (Prometeo è un titano, Crono è un titano).
Essi saranno affogati dal diluvio mandato da Zeus e torneranno dalle pietre (gli ossi della madre Terra) lanciati dalla coppia sopravvisssuta Deucalione e Pirra (il figlio di Prometeo e della “rossa”, cifra di Gea).
9
Gli eroi
Gli sterminati dalla guerra cosmica di fondazione dell’ordine attuale sono invece gli eroi, la quarta razza. La loro fine è la premessa necessaria all’introduzione dell’età oscura in atto.
Esiodo li ha interpolati prima dell’ultima orribile razza, sciogliendone la implicita coincidenza con la razza di bronzo e facendone gli sfortunati rappresentanti di una specie di ripresa e di ritorno della razza d’oro degli inizi.
Gli eroi sono infatti affini a Crono presso cui realizzeranno il destino di beati dèmoni custodi.
Si tenga presente che il “custode vegliante” è un guerriero. Lo stare con Crono sta a significare che divengono invisibili e non che si separano in una lontananza invalicabile, essi in ogni caso si aggirano fra gli uomini dei quali sono i custodi benigni.
L’interpolazione di una cesura nella sequenza franosa fra la razza di bronzo e la razza di ferro è una variante che testimonia la presenza di una religione molto caratteristica e significativa.
È il segno di una connessione della religione degli eroi con la religione orfica della fase aristocratica e esclusiva.
10
Potenze del sacrificio

Dato che la morte prometeica equivale alla caduta in schiavitù, la resurrezione dalla morte equivale alla liberazione dalla servitù postparadisiaca.
Tale liberazione ha a che vedere con il sacrificio, ne segue il dramma e i significati interni.
Nella religione eroica e nell’orfismo la meditazione sul sacrificio conduce alla valorizzazione finale dell’autosacrificio.
L’autosacrificio è il sacrificio perfetto, quello in cui vittima e sacerdote coincidono e non lasciano resti.
Il mito esiodeo illustra che l’uomo viene istituito dal sacrificio. L’insegnamento è che il dominio del sacrificio consegna il potere di istituire l’uomo.
La cerniera tra la condizione divina paradisiaca in illo tempore e la condizione umana sta nella nascita della morte nella forma della servitù. Nascita dell’uomo, nascita della morte, nascita della servitù sono un unico avvenimento cosmico.
Chi s’impadronisce della chiave di questo avvenimento ha il potere di invertire il destino e di regolarlo. Nella religione eroica di una delle tradizioni più pure, la religione di Mitra, questo è nettissimo.
In tempi storici successivi, la decadenza universalizzante e genericizzante della religione orfica popolare irrigidisce il distacco, verticalizza il divino, sposta l’accento dal compito dell’autoliberazione alla pratica della purificazione e alla ritualità estrinseca sfociante nella superstizione.
Questa diagnosi si può riscontrare in Eraclito e nella Repubblica diPlatone dove si mettono in relazione stretta i gradi di qualità e di dignità della pòlis con il tipo di uomo prevalente. In altre parole, Eraclito e Platone stabiliscono una uguaglianza tra il livello di umanità, il genere di epoca, la razza che occupa il primo piano.
In tempi storici successivi, dunque, in contrasto con l’orfismo aristocratico, si pretende che la mappa del percorso liberatorio post mortem, uno strumento adoperabile appropriatamente solo da una esclusiva cerchia di iniziati, sia disponibile automaticamente a chiunque.
11
Prometeo e gli uomini attuali
Nel mito, due eventi – la guerra cosmica di fondazione dell’umanità attuale e il sacrificio – sono analoghi.
Però, mentre non è difficile prendere atto che una razza alta possa venire sconfitta e sterminata in guerra, è più arduo rendersi conto della ragione per la quale il sacrificio produca lo stesso effetto.
Il sacrificio nella forma prometeica (Prometeo è un progenitore degli uomini, e in alcune spiegazioni popolari ne è addirittura l’artefice) provoca la punizione fatale della perdita o del nascondimento del fuoco.
In proposito, ha ragione Eliade (Histoire, I, § 86) a ritenere, sulla base di Meuli e Burkert, che il sacrificio è punito in quanto è il titano Prometeo a farlo.
Nel suo caso il sacrificio assume il valore di un atto conflittuale e insurrezionale. Zeus percepisce che il Titano e i suoi protetti attentano alla sua volontà, non vogliono sottostare a lui e accettarne il primato.
Si noti, di sfuggita, che il conflitto è, al fondo, un conflitto di astuzie, di intelligenze, di pensieri.
Allorchè un uguale sacrificio sarà celebrato con attitudine subalterna da Deucalione (Deucalione è un Prometeo ridimensionato, sopravvissuto, depotenziato e succube), Zeus lo accetterà e gradirà.
Tuttavia, da entrambe le interpretazioni balza che il sacrificio è un’arma, che si possa usarla in una guerra o in una parata non cambia che sia un’arma potente e letale.
Perché?
La ragione sta nel fatto che nel sacrificio c’è la morte: il fare la morte, il potere di morte. Si tratta di un potere straordinario e eccitante. Il potere della trasformazione di stato.
12
La perdita del fuoco
Il mito della perdita del fuoco da parte degli uomini esige una riflessione.
Zeus toglie il fuoco per punirli, Prometeo (rubandolo da dove si trova, dal sole?) lo riconsegna ai suoi protetti per aiutarli a essere se stessi.
Gli uomini senza fuoco regrediscono al crudo, ritornano divoratori di carne cruda (e non vegetariani, secondo che vorrebbe Pitagora): ciò li assimila ai predatori, agli animali selvaggi, e li riporta in uno stato primordiale paradisiaco, in illo tempore gli animali sono dei.
Per quale ragione, allora, la perdita del fuoco è una punizione così grave? Non è l’avvento del cotto a fissare la differenza e a stabilire il nuovo ordine postparadisiaco?
Gli dei gradiscono i profumi della carne cotta… gradiscono che gli uomini li servano. Se gli uomini smettono di servirli e di mandare a loro verso l’alto i fumi del cotto, gli dei illanguidiscono..
Notiamo che ciò accade con questi dei, mentre altri dei, più antichi e più feroci, hanno preferenze diverse.
Nel pitagorismo successivo, la scelta vegetariana (che implica un rifiuto etico dello stato di comunità con il selvatico primordiale) si propone con l’abolizione del sacrificio cruento di togliere il nutrimento agli dei olimpici.
Purtroppo l’uomo che è insorto e che è stato sconfitto non riconosce più che la perdita del fuoco equivale alla restituzione dello status iniziale, non è più in grado di capire che gli si riapre la via per rovesciare la supremazia dei padroni divini: per lui, si tratta solo di una perdita netta.
Il motivo profondo di quanto succede si coglie andando sotto la superficie.
In che cosa consiste veramente il fuoco che è stato sottratto e che viene recuperato quantunque senza la caratterizzazione liberatoria (il suo restitutore sarà condannato a morire ogni giorno, incatenato all’axis mundi)?
Qui soccorre lo studio di Kerényi (Miti e Misteri): l’uomo, anthropos, è colui che ha la “faccia di brace”. Il Titano, il figlio del fuoco stellare, il figlio di Urano.
Togliere il fuoco significa togliere la faccia, l’identità, il potere originale, sconfiggere, abbassare, privare, mutilare…
Il rito del fuoco e della morte, il sacrificio, è veramente il centro delle gerarchie cosmiche.
Gli orfici invocavano i Titani come antenati sotterranei del genere umano (Orphei Hymni 37, 2). I Titani sono maestri del fuoco, allo stesso modo delle turbolente razze divine preolimpiche.