Claudio Widmann
Pinocchio siamo noi. Saggio di psicologia del narcisismo
Magi, Roma 2015
Claudio Widmann, psicoanalista junghiano, studioso di simbolismo e di tecniche dell’immaginario, autore di numerosi saggi di psicologia simbolica ha recentemente scritto un saggio di psicologia del narcisimo, tema dominante nella psicopatologia del nostro tempo, a partire dalla storia di un burattino che diviene bambino, il celebre racconto di Carlo Lorenzini detto Collodi che tutti abbiamo ascoltato da bambini e che poi, diventati adulti, abbiamo quasi dimenticato. «Perché – ci dice Widman – la psiche si narra per storie e le strutture archetipiche della psiche si narrano per storie archetipiche».
Con grande attenzione l’autore si sofferma sulle varie vicende che si susseguono nella storia, aiutando il lettore a ‘leggere dietro il velo’ riscoprendone il valore simbolico.
Questo raccontare storie da cui, mentre le seguiamo incantati, come in un albeggiare traluce il senso riposto ci riporta alla tradizione chassidica. In Polonia verso la metà del sec. XVIII Ba’al Shem Tob, fondatore del cassidismo, per confortare la profonda sofferenza delle folle ebraiche dell’Europa orientale sostituì alle dotte disquisizioni teoriche semplici storie, favole, parabole che, trascritte e diffuse dai suoi discepoli dettero origine a una tradizione di altissimo valore morale, religioso, spirituale. Tra le più famose, proprio la storia di Baal-Shem, il quale quando si trovava in grave difficoltà andava nel bosco, accendeva un fuoco, assorto in meditazione diceva alcune preghiere e tutto si risolveva. Dopo una generazione un altro ztaddiq (giusto) in difficoltà andò nel bosco, non seppe accendere il fuoco ma disse le preghiere e tutto ugualmente si risolse. La generazione successiva un altro Rabbi ammise «non possiamo fare il fuoco, non possiamo dire le preghiere, e non conosciamo più il luogo nel bosco: ma di tutto questo possiamo raccontare la storia e questo basta.»
Giorgio Agamben in ‘Il fuoco e il racconto’ riproponendoci questa storia chassidica, ci porta a meditare sul fatto che il racconto è utile proprio perché ci ricorda ciò che non abbiamo più e ci invita a ritrovarlo. In particolare i racconti di fiaba che appartengono alla più antica saggezza dei popoli rappresentano le insidie, le prove, i pericoli che l’uomo deve affrontare e superare nel cammino per divenire pienamente uomo, ritrovare la propria essenza, il Sé. Questo cammino iniziatico, presente sotto differenti forme in ogni tradizione religiosa, nel giudaismo è rappresentato come la teshuvà, dalla radice “lashuv”, “ritornare”. Si tratta di una “metanoia”, una trasformazione radicale del modo di pensare, di sentire, di rapportarci agli altri e al mondo per cui, pur non mutando luogo né tempo, ci troviamo trasportati in un altro tempo e un altro luogo.
Per questo, come diceva Hillman, le storie curano, proprio come la storia di Pinocchio che da burattino diviene bambino che Widmann ci ripropone ricordandoci che “Pinocchio siamo noi”. Come Pinocchio, per divenire uomini, dobbiamo imparare nuovamente a prestare attenzione, a uscire da quel mondo di balocchi, da quella prigione incantata che proprio ai nostri tempi sembra costringere in invisibile ragnatela gli uomini che correndo dietro alle chimere del progresso, dimenticano la strada del “ritorno a se stessi”.
Tornando alla trattazione psicologia del narcisismo, vediamo già dai titoli dei capitoli del saggio l’ampiezza di uno sguardo che, traendo linfa dall’inesauribile sfondo simbolico della storia, si sottrae a ogni schematismo. Ne citiamo, a titolo esemplificativo, alcuni tra i sette (numero simbolico di ogni scala iniziatica) dedicati al processo che dalla chiusura patologica muove verso il cammino individuativo:
Cap. III – Presenze maschili e assenza di padre: mastr’Antonio- Geppetto – una trafila di uomini – il maschile e il paterno.
Cap. IV – Assenza di madre e Vuoto di identità.
Cap. V – Sé grandioso e io fragile
Cap. VI – Coscienza di sé e coscienza morale
Cap. VII – Passaggi Trasmutativi (morire sul rogo – morire impiccato – morire naufrago–morire fritto in padella – morire affogato – morire ingoiato morire annegato.)
Cap. VIII – Narcisismo endemico e stili di vita attuali (Il mito – Psicologia del narcisismo- Psicodinamica e psicogenesi – La Persona – L’Io, L’Ombra – L’Anima – L’Animus – il Sé)
Nonostante le considerazioni prognostiche sconfortanti, Pinocchio, suggestiva figura del narcisismo acuto, «compie un’imprevista parabola trasmutativa: diventa un ragazzino e guardando al burattino che era, esclama con grandissima compiacenza. Com’ero buffo quand’ero burattino!» (p.212).
Widmann conclude: «Pinocchio è una speranza e un modello. È la speranza di maturare la consapevolezza di come si è buffi (…) quando si è avvolti nel narcisismo, è la speranza di non stazionare per sempre nel narcisismo acuto e di giungere un giorno a parlare al passato di quando ‘eravamo Pinocchio’. È un modello di processo evolutivo nel corso del quale la libido individualistica si affranca dai gorghi del narcisismo patologico e si incanala nel condivisibile progetto di diventare Uomini anziché rimanere burattini» (p. 212).
E ci verrebbe da aggiungere, ricordando un’altra storia, Sul teatro di Marionette di Heinrich von Kleist, che le marionette, semplici pezzi di legno (materia pura), anche se in maniera in apparenza differente, possono aiutare l’uomo che sappia umilmente osservarle a uscire dal narcisismo endemico del mondo moderno. Il protagonista del racconto, il signor C., acclamatissimo primo ballerino dell’Opera, volentieri sostava davanti a un teatro di marionette sentendo di poter imparare molto dai loro movimenti di danza. Le marionette avevano una singolare grazia che derivava dal fatto che ogni movimento aveva un unico centro di gravità, e bastava che il burattinaio governasse quel centro, muovendolo in linea retta perché tutte le membra lo seguissero armoniosamente come a ritmo di danza. Quella linea retta era come la via dell’anima del danzatore. Ma l’uomo non ha possibilità di eguagliare il fantoccio, perché solo un dio può, in questo campo misurarsi con la materia. Inoltre la marionetta aveva un grande vantaggio sui ballerini in carne ed ossa: non era mai affettata «poiché l’affettazione si manifesta (…) quando l’anima (vis motrix) si trova in qualche punto che non sia il centro di gravità del momento». «Simili errori – aggiunge il signor C. – sono inevitabili da quando abbiamo mangiato dall’albero della conoscenza. Ma il paradiso è sprangato e il cherubino è alle nostre spalle: dobbiamo fare il viaggio intorno al mondo, e vedere se magari dietro si trova un’apertura».
Pinocchio ha trovato, in fine, il suo centro di gravità e la sua apertura di collegamento con il Burattinaio, e… auguriamoci di trovarlo anche noi!