Una singolare icona attribuita all’Atelier di Novgorod (secondo quarto del XVI sec.), presenta un non ben identificato Miracolo dell’arcangelo Michele su Floro e Lauro. Si può osservare la figura dell’arcangelo Michele in alto: nelle mani tiene le redini di due cavalli, uno nero l’altro bianco, come se volesse affidarli ai due martiri Floro e Lauro, posti rispettivamente a destra e a sinistra in atteggiamento deferente. Al centro si vedono tre cavalieri al galoppo, raffigurati mentre inseguono una mandria di destrieri dai vari colori.
Di primo acchito l’iconografia può far pensare a un riciclo cristiano del culto dei Dioscuri, Castore e Polluce, i «figli di Zeus», i figli del Cielo, divinità guerriere e agonistiche, raffigurate a cavallo oppure accanto a cavalli. Secondo il mito, uno dei Dioscuri, Castore, nella lotta contro i cugini Afaridi Ida e Linceo per la spartizione del bestiame rubato in Arcadia, venne ucciso e finì agli inferi. Mentre Zeus decise di innalzare Polluce al cielo. Ma Polluce rifiutò l’immortalità offerta dal padre, a meno che il fratello non fosse liberato dall’Ade. A questo punto Zeus concesse ad entrambi di soggiornare fra gli dèi, ma a giorni alterni. Ma tale ipotesi sembra parziale, più probabile è l’utilizzo di materiali tratti dalla cultura iranica, molto più prossima a Bisanzio. La mitologia dell’Iran antico utilizza infatti l’immagine del cavallo quale ipostasi nella lotta tra i due principî, la Luce e le Tenebre. Nell’avestico Tištar Yašt, il mitico mare onirico Vouru.kaša è il campo di battaglia in cui lottano i due stalloni Tištrya e Apaoša, che si affrontano in tre scontri successivi, l’uno per ottenere e l’altro per impedire il libero flusso delle acque vivificanti ricolme di xvarǝnah-, lo splendore inafferrabile.
I due destrieri, rispettivamente bianco Tištrya-Sirio e nero il demone Apaoša, agente di Ahriman, personificano un duello cosmico che va ben al di là di una tenzone combattuta simbolicamente per liberare le acque e favorire l’inizio della stagione delle piogge, ma si estende alla totalità della vita religiosa dell’Iran antico. In questa contrapposizione si riassume infatti il dualismo tra Luce e Tenebre, tra Vita e non-Vita, tra Ērān e Anērān, l’antitesi tra Iranici e Turanici che nello Šah-nāme di Firdusi avrà il suo apice nello scontro tra Kay K…vūs e Afr…siy…b.
Nella vicenda sacrale si colloca l’oblazione liturgica del cavallo, azione dalle dirette corrispondenze nel mondo vedico. Erodoto narra che l’esercito al seguito di Serse officiò tale sacrificio per propiziarsi il guado del fiume Strimone: in questa occasione i Magi, in quanto pharmakeusantes, «avvelenatori», immolarono un grande quantità di cavalli bianchi come «rimedio» magico e «farmaco» per lenire e «avvelenare» l’impeto del fiume. Giunge alla mente la notizia di Strabone sul fiume Tartesso, meta di Eracle e sede delle famose colonne, ai tempi di Omero era giustamente conosciuto come il luogo «più lontano dell’Occidente», oltre l’estrema regione del tramonto, dove lo splendore si dissolve ed ha inizio il viaggio notturno del Sole nelle profondità del mondo sotterraneo. Lì si trova Erizia, il luogo oltretombale interdetto, l’approssimarsi ad esso è illustrato efficacemente in un frammento sopravvissuto delle Heliadi = «Figlie del Sole» di Eschilo:
«… fluttuando nel cuore della
sacra notte cavalcando neri destrieri».
Il cavallo, strumento di guerra e di sopravvivenza, è oggetto di venerazione nell’antica cultura iranica, è un animale fondante la vita. Le fonti classiche parlano di una grande pianura nella Media, chiamata Nisea, dove vengono allevati fortissimi destrieri. Il cavallo bianco è circonfuso di una grande sacertà, nota Senofonte; e in una fonte avestica, il Bahrām Yašt, il possente dio guerriero Vǝrǝthraghna appare a Zarathuštra nelle sembianze di un cavallo bianco. Una sequenza apocalittica del pahlavi Zādspram, che ha delle strette affinità con la visione di san Giovanni a Patmos, descrive il dio Ohrmazd nella sua manifestazione ultima: alla fine dei tempi, egli apparirà nella notte, a cavallo di un destriero infuocato.
Ādur Gušnasp è uno dei quattro grandi fuochi sacri dell’impero sassanide: è il «fuoco del destriero» o «dello stallone», cioè gušn-asp, (dal medio-persiano gušn = maschio e asp = cavallo), localizzato, secondo le fonti, nell’antica città di Shiz, l’attuale Taxt-i Sulaym…n, nell’Azerbaigian Occidentale (Iran), un tempio rilevante nella geografia sacra dell’impero sassanide.