Dio è morto e gli orfani danzano in un delirio di onnipotenza

(Da Catarsi I – Che il cuore danzi)

Giuseppe Lampis

 

La morte del dio proclamata sonoramente da Nietzsche in verità era stata stabilita con inconfutabile rigore oltre un secolo prima da Kant con la critica delle idee della ragione (dio, anima, mondo) nella dialettica trascendentale. Probabilmente Nietzsche non intendeva annunciare una notizia già di dominio pubblico, quanto piuttosto le conseguenze epocali che l’umanità si rifiutava di riconoscere.

Tuttavia, anche queste, in effetti, erano state lucidamente tirate da Kant.

Friedrich Nietzsche

Assodato che le condizioni e le procedure del conoscere non consentono e non legittimano alcuna metafisica, tantomeno l’idea di una somma definitiva del reale fenomenico interno e esterno (= dio), non resta che la scienza. Ogni conoscere che si pretenda conclusivo e che pretenda di afferrare il tutto è un inganno inconsistente e autocontraddittorio.

Purtroppo l’uomo non può non porre il sapere al quale è pervenuto come conclusivo e fermo; e nel tempo stesso non può non rendersi conto che questo suo genere di rapporto con l’assoluto è vano e provvisorio.

Si tratta di una condizione drammatica, angosciante, stritolante. Nietzsche ha cercato di uscirne, però anche in questo caso il suo tentativo alla fin fine si è mosso lungo il sentiero già tracciato da Kant.

L’assoluto kantiano non è una tappa del conoscere, è bensì un postulato del volere. La differenza tra Nietzsche e Kant è apparente e, in un certo senso, di intonazione: per Kant la legge del volere è «tu devi», per Nietzsche è «io voglio».

Il «tu devi» sta a indicare la soggiacenza del soggetto relativo ed empirico all’imperativo categorico della legge incondizionata; l’«io voglio» vuole indicare che il soggetto, nell’autentico volere, si fa protagonista e legislatore assoluto e creatore di valori ma appunto, affinchè ciò avvenga, deve trascendersi in «super–uomo».

Ad ogni modo, quale che sia il pensatore che lo abbia ucciso, il dio della metafisica è morto. Nel vuoto che lascia, finalmente l’uomo è libero. Non che ne sia felice, dato che una libertà larga e totale, e legata all’apparire della cruda verità, è disagevole fino al terrore.

Sotto il nuovo cielo che si è aperto, la forza che esercita senza rivali una capacità di orientamento degli uomini è la scienza.

La scienza è l’unico sapere che si è mostrato capace di guidare su un terreno malfermo e pericoloso. Lo ha potuto perché ha accettato di portare su di sé i due grandi problemi aperti dalla morte del dio: la limitatezza inconclusiva del sapere e la necessità, ciò nonostante, di alleggerire la sofferenza della vita.

« Umano, troppo umano. »

Potremmo richiamare il lascito dolente del razionalista Cartesio: al dubbio inevitabile deve corrispondere la morale provvisoria.

Immanuel Kant

Se non possiamo uscire dal dubbio, tanto vale organizzare una convivenza pratica ordinata per quanto possibile e per quanto possibile sciolta dal dolore.

Le straordinarie conquiste della tecnica e del sistema scientifico–tecnico–industriale hanno tuttavia ottuso velocemente la coscienza della loro appartenenza all’ambito del « provvisorio » – che tale è perché ci muoviamo pur sempre nell’ignoto.

Certo, non siamo ingenui al punto di esigere da alcuni miliardi di uomini normali di farsi eroi o martiri crocifissi. E però non possiamo non avvertire che troppo spesso la scienza (con i suoi scienziati) travalica sé stessa e produce metafisica e che troppo spesso le sue stupefacenti produzioni alimentano la superbia e illudono i costruttori di torri di Babele.

Si ripete l’eterno dramma del sapere e della gnosi: il soggettivismo riposto nelle sue origini. La gnosi, il sapere che salva, salva se e quando viene dall’alto, da un piano che eccede il soggetto. Ma il suo carattere alternativo al piano delle apparenze e della vita concreta può essere frainteso da un animo demoniaco, e allora l’« io penso » diventa « io voglio » e « io posso ».

Quel dio non è morto da solo lasciando indenni i suoi adoratori, ha trascinato con sé l’umanità che gli era devota; e lo ha fatto nel modo tradizionale degli dèi, facendola impazzire. Non ha peraltro usato con ciò un’astuzia particolarmente difficile, bastava lasciarla a sé stessa e lasciarle credere di avere occupato degnamente il vuoto.

Succede, per dirla in termini scolastici freudiani semplificati, quando l’ego crede di aver rimosso il super–ego e si insedia al suo posto.

La soluzione? C’è una soluzione?

Sarebbe la modestia e l’accettazione dell’inevitabile. L’inevitabile non ha bisogno di essere accettato per accadere (dato che l’uomo, per accadere, deve accadere con esso).

Si può chiamarla ecologia radicale, amore dell’essere, iniziazione alla morte, pax deorum…

Ci arriveremo? Ogni ics succede.

 

 


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