Editoriale Vol. II

Annamaria Iacuele

Questo numero di «Átopon» è dedicato alle possibilità trasformatrici e creatrici dell’uomo di cui il Graal è uno dei simboli più emblematici. Il mistero del Graal è, secondo le parole di Gilbert Durand, archetipo della presenza del Sacro, cioè della immanenza della trascendenza. Cogliere questa coincidentia; oppositorum è possibile solo attraverso il superamento di prove e il compimento di un viaggio avventuroso la cui meta è appena un inizio: la capacità di intraprendere il cammino proprio dell’uomo, quella nuova via di creatività e dunque di salvezza, che consiste nel poter ri-creare, secondo le parole del biblista, “un nuovo cielo e una nuova terra”. Questa possibilità creatrice e trasformatrice è vista nell’articolo di Jacques Vidal, un infaticabile “cercatore del Graal”, come la caratteristica propria dell’uomo, animal symbolicum secondo la definizione di Ernst Cassirer. In Cassirer, Vidal vede uno dei più importanti iniziatori di una ermeneutica che si è posta come instauratrice, risvegliando l’attenzione degli uomini sulla necessità di ricorrere alle immagini e ai simboli per esprimere ciò che trabocca le possibilità logiche della nostra ragione. Ma è a Jung che Vidal riconosce il merito di aver saputo scorgere la dimensione spirituale che traluce nel mistero del simbolo.

Saper cogliere il senso spirituale del simbolo è l’inizio di quella via (la stessa che deve percorrere ogni cercatore del “Graal”) che Jung chiama “processo di individuazione”, un processo creativo verticale attraverso il quale, al di là degli stretti confini dell’io, l’uomo affermando il Sé, significazione possibile di tutti gli opposti, riafferma il compito e la dignità dell’Uomo e dell’Universo.

Ritroviamo il problema della ricerca della salvezza e l’altissima drammaticità relativi alla vita e alla creatività dello spirito nell’articolo di Giuseppe Lampis,  Gnosi e mondo moderno. La gnôsis ci propone un uomo che si sente straniero nel mondo, vissuto come profano e demoniaco, che cerca di liberarsi da esso e di salvarsi attraverso la conoscenza, gnôsis. Ma ci propone anche una visione in cui il male e il bene sono poli della creatività dello spirito, strettamente connessi con il destino dell’uomo.

Il male è per l’uomo il problema, l’ostacolo da superare, la prova. E per la gnôsis l’uomo è investito di un ruolo fondamentale nella lotta cosmica: combattere, prima di tutto all’interno di sé stesso, quello spirito contraffattore che contrasta la sua esigenza di salvezza.

All’articolo sulla gnosi di G. Lampis abbiamo premesso l’articolo di Julien Ries nel quale si fa il punto sul difficile problema dei rapporti tra gnosticismo e cristianesimo che ha impegnato gli studiosi fin dall’inizio del XIX secolo. Julien Ries, dopo essersi soffermato in particolare sull’importanza del problema della genesi dello gnosticismo, conclude affermando l’incompatibilità tra teologia gnostica e teologia cristiana.

La ricerca della via della guarigione o della salvezza è stato il tema di alcuni congressi internazionali tenutisi nel 1992. Nell’intento di dare notizia delle differenti polarità del dibattito interculturale sulle tematiche del Simbolismo e del Sacro abbiamo ritenuto interessante pubblicare alcuni interventi dai quali si possano evincere le differenti vie attraverso le quali, partendo dai diversi campi del conoscere, l’uomo si confronta con la dimensione del Sacro e cerca di raggiungere l’esperienza della pienezza del suo essere.

Nello stesso spirito di dialogo abbiamo ospitato un articolo comparso in lingua originale nell’importante rivista francese «Connaissance des Religions», con la quale siamo in corrispondenza, il cui scopo è di contribuire alla conoscenza delle religioni nelle molteplici espressioni tradizionali e nelle più profonde implicazioni spirituali. L’autrice, Françoise Schaya, ci fa seguire l’avventura delle forme nelle antiche tradizioni religiose.

Un recentissimo articolo di Emanuele Severino sulla coerenza teorica del Cristianesimo ha ispirato Giuseppe Lampis a ritornare ad una meditazione filosofica del problema della vita e quindi della morte e sulla possibilità della salvezza, che egli ravvisa nella comprensione del senso profondo della morte.

Ci avventuriamo, infine, nell’atopon attraverso la scoperta delle molteplici accezioni di significato dischiuse dalla parola. A-topon, il non-luogo, mentre afferma l’estraneità rispetto al luogo della mondanità grossolana e comune e una presa di distanza che inizialmente può rivelarsi come disorientamento, ripropone le nuove possibilità evocate dall’inquietante tema del valore metafisico espresso dall’alpha privativo, fino a mostrare vocazione al trascendimento.

Una volta che si siano percorsi tutti i luoghi e questi si siano manifestati come figure di Altro che non può essere definito luogo, il non-luogo (a-topon) non si presenta allora soltanto come limite, ma dischiude l’orizzonte di un altro livello ontologico. Sarà allora possibile ad ognuno sottrarsi allo sguardo pietrificante di Medusa, alla reificazione e all’invischiamento nel malessere contemporaneo per riaffermarsi, comprendersi, tradursi come Anthrôpos attraversato dalla trascendenza che, sola, conferisce la vera misura e il vero “luogo” in cui ritrovare un’identità qualitativa.

Questo sottrarsi non è fuga dalla responsabilità o dal carico della sofferenza, perché, átopon, il non-luogo, è appunto il luogo in cui può essere accolto il “male di vivere”, lo spaesamento, il turbamento dell’anima, in cui la domanda insoluta può trovare voce o, meglio, quel silenzio che nessuna parola può esprimere e che il simbolo nella sua inesauribile possibilità di trascendimento porta con sé.

Annamaria Iacuele