Maschere e dèmoni vol. I – Prefazione

 

Maria Pia Rosati

Che cosa è una maschera?
Questo tema ha attratto studiosi di differenti discipline, filologi, etnologi, antropologi, storici delle religioni che vi hanno dedicato opere significative, orientate sui singoli aspetti specifici.

Il tema di sintesi è stato affrontato di rado in modo diretto ma con risultati di grande rilievo, fra i quali ricordiamo quelli di Karl Meuli, René Guénon, Titus Burckhardt, Claude Lévi-Strauss.

Da tali studi siamo sospinti a porci una domanda.

L’uso delle maschere si limiterebbe a rappresentare una invasione degli spiriti che tornano risalendo dal basso nel tempo del rovesciamento?

L’insieme della ricerca ci spinge a riconoscere che la maschera rappresenta un aspetto essenziale della dialettica della liberazione spirituale dell’uomo.

Giuseppe Lampis in questo libro ha voluto affrontare il problema primo e più affascinante: che cosa è una maschera?

A tal fine, operando una scelta in un ambito assai esteso (ogni cultura e ogni tradizione ha le sue maschere) si è soffermato sulle maschere greche, africane e degli sciamani asiatici.

La maschera è innanzitutto un volto che si presenta e si rende visibile.
Ma, che cosa esattamente si fa vedere e si mostra?
Questa domanda, anche se non ne siamo sempre perfettamente consapevoli, ha assunto il massimo interesse nella nostra epoca così presa dalla importanza delle apparenze.
Per rispondere bisogna in primo luogo tenere presente che la maschera nella sua natura profonda non è nulla di statico e di rigido.
Essa ha senso solo nel movimento, nel comportamento, nella danza, nel ritmo, nelle procedure rituali e nelle azioni in cui compare.

Ciò che si mostra e si fa vedere è dunque qualcuno e non qualcosa.

Gli uomini, fin dai primordi, hanno sentito il bisogno che qualcuno venisse fra loro a impartire insegnamenti sulle cose più importanti della vita.

Essi hanno anche sentito che presenze inaudite e forti si avvicinano nei passaggi fondamentali della vita pur senza essere state convocate e hanno provato il desiderio di prepararsi a riceverle e a riconoscerle.

Possiamo dire che nelle più mature riflessioni sulle maschere gli uomini hanno cercato di meditare su se stessi, di decifrare se stessi e i valori principali del proprio destino.Dove ci sono maschere ci sono società di maschere.

Ciò è ben noto per le società di interesse etnologico e può essere coerentemente esteso alla Grecia antica, la cui cultura rappresenta una delle basi essenziali della nostra civiltà.

Il libro di Lampis mette in luce un aspetto sostanziale del rapporto dell’uomo greco con le potenze dell’invisibile e lo ricollega con un fondo arcaico di vasta portata. Dietro le quinte della inquieta cultura greca si intravvede di scorcio un antico scenario religioso centrato sul conflitto tra uomini e dei, sulla sconfitta degli uomini e il conseguente avvio di un destino nuovo che li costringe a un viaggio molto penoso per tornare a se stessi (nostos) e alla comunione con gli dei.

Le società di maschere e la loro ritualità si occupano di preparare a questo nuovo percorso arduo e pericoloso.

L’uomo attuale sarebbe in realtà soltanto un «non ancora nato» che deve imparare a nascere.
Il vero nascere per l’uomo infatti significa incontrare l’invisibile, riconoscerlo attraverso una delle maschere (o potenze dell’invisibile) che gli vengono incontro e, a sua volta, riconoscersi in essa, farne la propria maschera e indossarla.

Il senso della maschera per Lampis è dunque questo: essa è la porta da cui scendono le potenze dell’invisibile ma è anche la stessa porta dalla quale l’uomo esce dall’insignificanza e diventa il vero se stesso.

«L’esistenza umana – dice l’autore – è un vaso di dèmoni che vanno scatenati, proiettati all’esterno e affrontati a uno a uno; poiché sono legati all’uomo, essi vivono di lui e lo trattengono, eppure se sono portati allo scoperto e affrontati possono venire trasformati via via in potenze alleate e benefiche.» Anche la psicologia junghiana si è confrontata con la dialettica della maschera.

Nel confrontarsi con le problematiche psichiche apparentemente più diverse ha dovuto constatare che esse inevitabilmente conducono di fronte a un unico problema decisivo: individuare i limiti critici della soggettività, sciogliere dall’irrigidimento della dimensione soggettiva, liberare l’essenza dell’uomo dal guscio della illusoria personalità, aprire una strada verso l’altro da sé.

Il lavoro psicoanalitico non ha senso e non ha prospettive se l’interpretazione di ciò che è soggettivo non trova una rispondenza nella figurazione immaginale di ciò che è fuori del soggetto, di ciò che lo circonda e di ciò che lo trascende.

Le immagini e le emozioni che si incontrano dentro di sé hanno consistenza di realtà ; se non ne avessero sfuggirebbero a ogni presa e non potremmo riconoscerle, decifrarle e trasformarle. Vedere in esse soltanto dei fantasmi evanescenti partoriti da una mente persa in se stessa è riduttivo ma soprattutto fuorviante. Esse infatti rivelano presenze piene di spessore che non possono essere evitate, potenze cariche di significati e di richiami che accompagnano l’esistenza e segnano che essa è costitutivamente aperta a dimensioni e mondi e forze che trascendono la mera individualità soggettiva.

L’uomo non può evitare di incontrare queste potenze e di interpretare il loro messaggio se vuole risolvere il problema che rappresentano e vivere i mondi che gli aprono. Ma un problema reale comporta una lotta reale e una lotta reale non si può ingaggiare contro ombre inconsistenti e fittizie.

Per coloro che si sottraggono all’incontro esse assumono il volto di dèmoni della morte che sbarrano il passo. Ciò è esemplificato secondo uno dei più profondi interpreti della filosofia indiana, Giuseppe Tucci, nel rito del mandla. Incontrare e affrontare i dèmoni esterni secondo l’ordine giusto equivale a sciogliere i nodi della propria esistenza secondo la sequenza in cui, in ciascuno di noi, sono stati legati. Ciò è simboleggiato anche nel mito greco di Perseo, che deve uccidere la Gorgone Medusa.

Solo dopo aver superato molteplici prove con molteplici dèmoni, l’eroe può affrontare il passaggio finale della lotta con la morte, impersonata nella maschera della Gorgone Medusa. Per prevalere non deve incontrare direttamente il suo sguardo pietrificante ma deve destreggiarsi solo con l’immagine riflessa nello scudo lucente donatogli da Atena, simbolo della saggezza che risolve i problemi dell’esistenza.

Il mito ci dice anche delle ulteriori possibilità che nascono da questa lotta: infatti dal tronco di Medusa decapitata balza fuori l’eroe Crisaore («colui che ha la spada d’oro») e il cavallo alato Pegaso.
La stessa maschera della Gorgone decapitata, portata dall’eroe sulle spalle nella bisaccia (kibisis), non è più una minaccia per lui, ma lo è per i suoi nemici e i nemici di Atena che la terrà sul petto della corazza dopo averla ricevuta dall’eroe. Lo studio di Lampis sulla maschera è articolato in due parti.

Il primo volume è dedicato a cinque maschere greche, ai volti di cinque divinità potenti e cariche di significato: Dioniso, Demetra, Ecate, Ermes, Eros.

Sono affrontate tematiche profonde e terribili: il valore della femminilità depositaria del misterioso rapporto tra nascita e morte, l’apprendimento del senso creativo della sofferenza che si realizza nella follia liberatoria estatica, la parola che salva, la sacralità del vivere civile, l’amore della pienezza del caos.

Il secondo volume si rivolge alle culture dei Dogon dell’Africa subsahariana e degli sciamani asiatici e indiani d’America, culture tradizionali di straordinaria profondità spirituale che ci portano gli echi di una arcaica piattaforma religiosa universale.

Maria Pia Rosati